A cura di Viviana Gottardo
Ottobre 2024 – Banca Intesa San Paolo.
Il cliente, che da decenni deposita i propri risparmi presso la suddetta Banca, richiede ripetutamente in svariate occasioni che siano investiti in modo etico e sostenibile. Si dichiara pacifista, sostenitore dei diritti umani e assolutamente contrario a investimenti in armi, dispositivi e strumentazioni militari. Il consulente finanziario afferma che l’Istituto bancario intrattiene rapporti solo con aziende e istituzioni che operano in modo etico e responsabile, rassicurando il cliente. Questi, con scarso tempo a disposizione, assorbito da problemi e preoccupazioni personali e familiari, non è intenzionato a decriptare i misteriosi acronimi che identificano i suoi investimenti e si lascia avvolgere dal piacevole clima di fiducia instauratosi dialogando con l’operatore. Solo a posteriori nota sul rendiconto una definizione inquietante, sulla quale è inevitabile soffermarsi: “Difesa”!! Pertanto chiede telefonicamente precisazioni al consulente, che risponde: «Si tratta solo di investimenti in ambito tecnologico, senza alcun nesso con l’industria degli armamenti»!! E istantaneamente dirotta la conversazione su altri temi.
A questo punto il cliente, che ha provveduto a dotarsi di una basica cultura sull’argomento, azzarda una domanda provocatoria: «E se ora cambiassi idea e volessi investire nel settore difesa/armamenti, considerato che si dice che produca attualmente il massimo rendimento?».
Risposta: «La nostra Banca non intrattiene alcun rapporto con aziende di questo tipo»!!
“E più non dimandare”, si potrebbe chiosare.
Quando pretendere la trasparenza dalla “policy bancaria” si rivela una speranza vana…
Superato lo shock, urge riflettere e prendere rapidi provvedimenti.
“Secondo rapporti di Il Sole 24 Ore e La Repubblica, diverse istituzioni bancarie italiane hanno sostenuto l’export di armamenti verso nazioni come l’Arabia Saudita, coinvolta in conflitti, tra cui la guerra in Yemen. Le banche italiane, come Unicredit e Intesa Sanpaolo, sono state accusate di avere legami con il mercato delle armi, utilizzando risorse destinate ai depositanti per finanziare attività che contrastano con i principi di pace e giustizia. Questo comportamento non è solo una questione di etica bancaria, ma pone anche interrogativi sulla responsabilità sociale delle istituzioni finanziarie. Gli investimenti in armamenti sono spesso lontani dalla percezione del pubblico e, per molti cittadini, scoprire che i propri risparmi possano essere utilizzati in questo modo rappresenta una rivelazione scioccante. Una risposta forte e simbolica da parte dei cittadini sarebbe quella di chiudere i conti presso queste banche. Questa azione non solo esprime un rifiuto nei confronti dell’uso del denaro a sostegno di conflitti e violazioni dei diritti umani, ma funge anche da messaggio potente contro il finanziamento di attività che contrastano con i valori della nostra Costituzione, che sancisce il ripudio della guerra”.
Da “La Finanza del Futuro: Cambiare le Regole del Gioco per la Giustizia”
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