Alle 7.35 del 21 aprile 2025, Papa Francesco è tornato alla casa del Padre. Un annuncio che ha scosso il cuore dei fedeli e di milioni di persone nel mondo, perché con la sua morte non scompare solo il successore di Pietro, ma si spegne una voce unica, profetica e spesso scomoda. Jorge Mario Bergoglio non è stato solo un vescovo di Roma, ma una guida spirituale profondamente rivoluzionaria, capace di imprimere un nuovo passo alla storia della Chiesa e di mettere in crisi le coscienze del nostro tempo. La sua fede, radicata nel Vangelo e ispirata dallo spirito di Francesco d’Assisi, lo ha reso straordinariamente progressista, non per ideologia, ma per coerenza evangelica: ha saputo interpretare i “segni dei tempi” come chiamata urgente all’impegno per la giustizia sociale, la pace, la dignità dei più deboli e la custodia della casa comune. Con l’enciclica Laudato si’ ha messo nero su bianco una verità che la politica e l’economia spesso continuano a ignorare: “non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Ha parlato del grido della Terra e del grido dei poveri come un unico appello alla responsabilità, richiamando l’umanità alla conversione ecologica, personale e collettiva.
Ha denunciato il paradigma tecnocratico che idolatra il profitto e distrugge la vita, e ha smascherato l’illusione di un potere autoreferenziale che dimentica la solidarietà e svuota la democrazia. “Finché l’economia sarà un dominio delle logiche speculative, non ci sarà futuro né per l’ambiente né per l’uomo”, ammoniva, con quella chiarezza disarmante che lo ha reso amato da molti, ma anche temuto da chi detiene il potere.
Durante i suoi dodici anni di pontificato, Francesco – il primo papa gesuita nella storia della Chiesa – si è fatto instancabile paladino dei poveri, dei diseredati, degli invisibili, criticando apertamente l’avidità delle multinazionali e i meccanismi ingiusti che generano disuguaglianza sociale ed economica. Ha invitato la Chiesa stessa a fare un esame di coscienza, criticando le forme di privilegio e la stravaganza all’interno del Vaticano, chiedendo ai leader ecclesiastici umiltà e sobrietà. La sua opzione preferenziale per i poveri non è mai stata una strategia comunicativa, ma un vero e proprio orizzonte teologico e politico. Lo dimostrano anche i gesti iniziali del suo pontificato: la scelta di non abitare negli appartamenti papali, il viaggio in autobus per tornare all’hotel dopo l’elezione, il conto pagato di persona. Tutto parlava di una Chiesa che torna a respirare il Vangelo. Alla sua prima apparizione da papa, disse chiaramente di voler “una Chiesa povera e per i poveri” – e da allora ha fatto di quella frase la sua missione.
Papa Francesco ha continuamente parlato di una “Chiesa in uscita”, che non si chiude nel sacro ma si sporca le mani nel fango del mondo, che si fa sorella degli ultimi, dei migranti, dei senza voce. Ha promosso con forza un’idea di fraternità universale, fondata sulla valorizzazione delle differenze, sul rispetto reciproco tra popoli, culture e religioni, come espresso nell’enciclica Fratelli tutti. Ha richiamato il mondo intero a riconoscere il legame nella sorte comune che ci rende corresponsabili del destino dell’umanità e del pianeta. “Il tempo è superiore allo spazio”, diceva spesso, a indicare l’importanza di avviare processi di cambiamento piuttosto che occupare posizioni di potere. E uno di questi processi è quello della pace.
Su questo tema, la sua voce è stata tra le pochissime – e per certi versi l’unica a livello globale – a opporsi con coerenza al riarmo, alla logica della guerra “giustificata”, all’abitudine tragica con cui l’umanità sembra accettare la violenza come soluzione. “Ogni guerra è una sconfitta della pace, è una resa dell’umanità”, ripeteva instancabilmente. Più volte ha definito il commercio delle armi come “terrorismo in giacca e cravatta”, e ha denunciato il fatto che dietro i conflitti ci siano interessi economici inconfessabili. Non ha esitato a dire che “non siamo in guerra per difendere la pace, ma per alimentare altri poteri”. Eppure, questa voce si è spesso trovata isolata, perfino nel dibattito mediatico: ignorata, banalizzata, quando non addirittura oscurata da un giornalismo sempre più appiattito sulla logica delle contrapposizioni geopolitiche e della spettacolarizzazione della violenza.
In un’epoca in cui il sostegno alla guerra torna a essere normalizzato, Francesco è stato l’ultimo grande leader globale ad opporsi con radicalità e coerenza alla logica del conflitto, chiedendo incessantemente “dialogo, cessate il fuoco, ponti e non muri”, a favore di un’umanità riconciliata e non armata fino ai denti.
Non ha mai avuto timore di essere impopolare, di andare controcorrente. “La pace non si conquista con la paura, ma con il rispetto e la giustizia”, ha detto visitando l’Iraq, e ancora: “la pace non richiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le ferite, camminano insieme verso la riconciliazione”. Ha parlato di una “architettura della pace” fatta di istituzioni, ma anche di un “artigianato della pace”, affidato alla responsabilità quotidiana di ciascuno. Ha chiesto alla Chiesa e al mondo di “ripensare il potere come servizio, l’economia come cura del bene comune, la politica come carità sociale”. Ma troppo spesso queste parole sono cadute nel silenzio. Forse perché troppo vere. Forse perché troppo scomode.
Con la sua morte, nel tempo luminoso della Pasqua, si chiude un capitolo di straordinaria forza spirituale e profetica. Ma il suo annuncio resta, potente e urgente: non c’è fede autentica senza impegno per la giustizia, non c’è Vangelo che non chieda una rivoluzione dell’amore, non c’è speranza cristiana che possa tollerare la violenza, l’indifferenza e lo sfruttamento dell’altro. Papa Francesco ci ha lasciato un’eredità viva, che non si limita a parole, ma chiede gesti, scelte, cammini. Una Chiesa sorella, un mondo fratello, un futuro possibile: questo il suo sogno, che ora tocca a noi custodire, far crescere e trasformare in realtà.

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Psicologa-psicoterapeuta perfezionata in Psicologia dell'orientamento alle scelte scolastico-professionali e ricercatrice presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'Università di Padova. Docente di "Psicologia dell'inclusione e della sostenibilità sociale" e di "Career Counselling e orientamento professionale in contesto multiculturale". Dal 2009 collabora con il Laboratorio La.R.I.O.S. all'organizzazione e all'attuazione di progetti di orientamento, e alla realizzazione di ricerche relative al tema delle vulnerabilità, dell'orientamento e dell'inclusione lavorativa. È membro del comitato direttivo del Laboratorio La.R.I.O.S., vicepresidente della Società Italiana di Orientamento (SIO) ed è membro dell'Advisory Board dell'International Journal for Educational and Vocational Guidance. Attualmente è coordinatrice del progetto europeo Equi-T (sistema europeo di sviluppo della qualità per l'educazione inclusiva e la formazione degli insegnanti).
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Suor Francesca Fiorese, suora operaia della Santa Casa di Nazareth, dal 2017 è la direttrice della Pastorale sociale della Diocesi di Padova