L’accordo del 27 Luglio scorso sui dazi commerciali tra USA e UE, sancito dall’incontro in Scozia tra Ursula von der Leyen e Donald Trump, ha suscitato critiche e polemiche, com’era logico aspettarsi. Ma ha anche sollevato dubbi sulla sua effettiva consistenza, visto che le due parti hanno reso pubbliche, subito dopo il vertice, due versioni differenti del testo che ne sarebbe la base. Qui troviamo la versione europea: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/qanda_25_1930; e qui quella americana: https://www.whitehouse.gov/fact-sheets/2025/07/fact-sheet-the-united-states-and-european-union-reach-massive-trade-deal/.
Chi dice il vero? Probabilmente nessuno: troppi gli interessi in gioco, troppa la propaganda davanti e dietro alle telecamere. Occorre infatti tenere presente che l’interscambio commerciale tra EU e USA è uno dei sistemi a più alta più intensità del pianeta: vale 4,2 miliardi di euro al giorno; nel 2024 ha raggiunto il controvalore totale di 1600 miliardi di euro.
Con questi numeri in gioco, è logico che i dazi statunitensi, che colpiscono ogni genere di scambio, di merce, di settore, siano uno spauracchio per tutti. Peraltro è chiaro che la quota percentuale oggetto dell’accordo, quel 15% che appare quasi accettabile a molti, esclude comunque settori importanti del sistema produttivo, l’acciaio su tutti, sul quale il “pizzo americano” rimane fermo al 50%.
Contraddizioni
Possiamo facilmente immaginare quanto risulti penoso, per chi ha fondato la propria cultura e carriera politica sulla glorificazione del libero mercato – praticamente l’intera classe dirigente europea – trovarsi costretto ad affrontare questa nuova stagione di protezionismo a senso unico, condotta col pugno di ferro proprio dai presunti paladini del liberismo, gli USA.
Nonostante la difficoltà di lettura delle diverse interpretazioni dell’accordo, è molto interessante soffermarsi sul tema dell’energia, uno dei dossier più sostanziosi e problematici sul tavolo della trattativa. Nel testo c’è l’impegno, da parte europea, all’acquisto di gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti nucleari dagli Stati Uniti, per un volume complessivo di acquisti pari a circa 700 miliardi di euro nei prossimi tre anni.
Suicidio europeo?
C’è chi sostiene (https://ieefa.org/resources/deja-vu-eu-risks-overreliance-one-gas-supplier) che un impegno simile metterebbe l’UE in uno stato di totale subordinazione, tale da rischiare di non essere attuabile. In effetti le parole usate dalla Casa Bianca, in merito all’interscambio energetico, sono impressionanti quasi quanto le cifre: «L’UE rafforzerà il ruolo degli Stati Uniti come Superpotenza Energetica acquistando 750 miliardi di dollari in esportazioni energetiche statunitensi entro il 2028. Questo rafforzerà il dominio energetico degli Stati Uniti, ridurrà la dipendenza europea da fonti avversarie e contribuirà a ridurre il nostro disavanzo commerciale con l’UE». “Superpotenza”, “dominio energetico”, “fonti avversarie”… la logica e il lessico bellici sono una chiave analitica esemplare della narrativa Trumpiana. Ma non è una novità né è questa la sede per affrontare il tema.
Tornando all’energia: tra trionfalismi e opache prudenze, si tratta comunque di un’enormità. Una serie di scelte e di impegni che però, visti in prospettiva, andrebbero interpretate dall’interno del mercato energetico globale.
I numeri dell’interscambio energetico
Partiamo dal passato più recente, l’anno 2024, e dai dati forniti dalla “Statistical Review of World Energy”, pubblicazione annuale curata nel passato dal gigante energetico britannico BP, oggi edita dallo Energy Institute (https://www.energyinst.org/), un’organizzazione no profit con sede a Londra, che pone il mondo dell’energia al centro dei suoi interessi.
Il gas naturale
Nel rapporto leggiamo che nel 2024 l’Europa ha consumato 468,7 miliardi di metri cubi di gas naturale, il metano. Ne ha importati 365 miliardi, il 77%. La quota di gas liquefatto (il GNL, quello che viaggia via mare e non via gasdotto), è stata pari a 133,5 miliardi di metri cubi. Ebbene: abbiamo acquistato dagli USA il 45% (60,7 miliardi di metri cubi) di tutto il GNL, per un valore di circa 50 miliardi di euro, secondo i dati ufficiali dello Institute for Energy Economics and Financial Analysis (https://ieefa.org/european-lng-tracker). Seguono, tra i fornitori: Russia (16%), Algeria (12%) e Qatar (11%). Si badi: il costo per MWh del GNL USA è stato superiore di circa 6,5€ a quello praticato da Russia e Qatar.
Maggiore il volume di metano acquistato via gasdotto: 232 miliardi di metri cubi, circa la metà del consumo totale. I nostri fornitori principali sono stati: la Norvegia (51%), la Russia (22%), l’Algeria (12.6%), l’Azerbaijan (10.5%) e l’Iran (2.9%). L’assenza degli americani è dovuta a una ragione più che ovvia: le pipeline USA non arrivano in Europa.
Per capire l’evoluzione del mercato e dell’interscambio, dobbiamo tornare al 2019, prima della pandemia e della guerra tra Russia e Ucraina, i dati che osserviamo sono diversi. In quell’anno l’Europa importò, in totale, 120 miliardi di metri cubi (Mmc) di GNL. Di questi: 18,3 Mmc erano statunitensi, pari al 9%. Va anche rilevato che nel 2019 i due principali esportatori di GNL verso l’Europa erano il Qatar (27%) e la Russia (17%). Appare dunque chiaro che tra il 2019 e il 2024, l’incremento delle importazioni europee di GNL USA è già stato notevolissimo, passando dal 9 al 45%.
Il petrolio greggio
Nel 2024 l’Europa ha importato 218 milioni di tonnellate (Mt) di petrolio greggio. Al primo posto tra i fornitori, ancora gli USA con 51,8 Mt (23,7%). Seguono Russia (36,6 Mt pari al 16,8%), India (27,7 Mt / 12,7%), e Nordafrica (21,3 Mt / 9,7%). Solo cinque anni fa, nel 2019, le importazioni europee di greggio furono pari a 522,5 Mt: più del doppio del 2024. Diversa da quella odierna la classifica dei fornitori: quasi il 30% proveniva dalla Russia, il 23% dall’Africa e solo l’8,7% era di provenienza USA.
Si potrebbe continuare l’analisi, approfondendo il cambiamento dei consumi, perfezionando la lettura dei dati con l’inserimento di variabili geopolitiche, misurando la portata dei mutamenti anche alla luce dell’oscillazione dei prezzi. Ma lasciamo questo lavoro agli esperti.
Un dominio pianificato nel tempo
Quello che vorremmo porre in evidenza, però, è il processo, in atto da molti anni, dovuto al ritorno degli USA nel mercato energetico globale in qualità di produttore, non più soltanto di consumatore. Le politiche energetiche avviate e promosse nel corso degli ultimi venticinque anni dalle diverse amministrazioni che hanno guidato la Casa Bianca (da Bush jr a Obama, da Biden a Trump), hanno tutte incrementato – seppur in misura diversa e con diverse accortezze, anche di carattere ambientale – la capacità produttiva degli Stati Uniti. La produzione di petrolio e di gas, in particolare, hanno visto una vera e propria esplosione dei volumi prodotti. Ed è notevole che tale incremento sia dovuto prevalentemente allo sviluppo e all’autorizzazione estesa delle tecniche estrattive più inquinanti e pericolose per l’ambiente: il fracking e l’estrazione di shale gas, che devastano le falde acquifere e contaminano irreparabilmente la biosfera (si veda: https://en.wikipedia.org/wiki/Environmental_impact_of_fracking_in_the_United_States).
Misurare la crescita della produzione
Consultando ancora le utilissime tabelle dello Energy Institute (https://www.energyinst.org/), possiamo misurare il fenomeno appena descritto. La produzione USA di Gas Naturale è cresciuta secondo i seguenti passi: nel 2000 fu pari a 20 exajoule, nel 2008 a 21,4, nel 2012 a 23,3, nel 2016 a 26.18, nel 2020 raggiunse i 32,7, e infine nel 2024 è arrivata a 37,2 exajoule.
Per quanto riguarda il greggio, gli USA sono passati da 7,7 milioni di barili al giorno nel 2000 a 6,7 nel 2008: gli anni del petroliere Bush jr. Da allora la crescita è stata inarrestabile: alla fine del doppio mandato di Barack Obama la produzione era già salita a 12,3 milioni di barili al giorno. Nel 2024, dopo il “Trump 1” e il quadriennio di Joe Biden, la produzione ha toccato i 13,2 milioni di barili quotidiani: più della Russia (10,2), più dell’Arabia Saudita (9,2), più di tutti. Cosa comporterà il “Trump 2”? Possiamo trovare una risposta plausibile in una delle guerre antistatali condotte dal magnate col ciuffo, quella contro l’EPA (Environmental Protection Agency), alcuni risvolti della quale sono descritti qui, in un recentissimo articolo di ABC News: https://abcnews.go.com/US/trumps-environmental-protection-agency-plans-kill-landmark-endangerment/story?id=124187555.
Conclusioni
Trump canta vittoria perché ha strappato un assegno in bianco all’Europa. La “sua” produzione di combustibili fossili è quasi raddoppiata in venticinque anni. Ma perché stupirsi, oggi, se gli USA vogliono vendere il loro enorme surplus sia per fare cassa che per stabilire chi dà le carte nel gioco del commercio mondiale?
Semmai la domanda andrebbe rovesciata: chi può permettersi di non comprarli, quel gas e qual petrolio, per giunta al prezzo stabilito dal chi li vende?
L’Europa, l’abbiamo visto, non ne è capace, né sa tornare a ragionare dialetticamente sui problemi più urgenti. Forse è proprio per questo deficit morale e cognitivo che, tra tante bestialità, ha deciso anche di riarmarsi fino ai denti.
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