La Cura del Vero

Pace Diritto Umano. Il nostro contributo come Cura del Vero

Che cos’è la Pace? Assenza di Guerra? No, è un diritto fondamentale di una umanità che voglia e possa dirsi tale, una indispensabile premessa per una vita dignitosa per persone e popoli.

E’ questo il senso profondo di un lavoro di ricerca curato dal Centro di Ateneo Padovano per i diritti umani Antonio Papisca oggi presieduto da Marco Mascia. Già il sottotitolo “Idee, progetti, raccomandazioni per realizzare l’unico futuro possibile” disegna il percorso logico del libro disponibile in formato open source digitale a questo indirizzo

https://www.padovauniversitypress.it/it/publications/9788869384912

Realizzato in collaborazione con Etica Sgr per i suoi 25 anni di attività e presentato al pubblico il 28 ottobre, è un’opera originale per due ragioni. E’ realmente trans disciplinare perché fa dialogare e interagire approcci e “campi del sapere” diversi e perché così riesce a formulare un ampio arco di “proposte operative concrete” per molti aspetti inedite per il nostro paese. Insomma uno strumento di lavoro a disposizione dei tantissimi italiani che si sono mobilitati negli ultimi mesi a sostegno della pace, contro genocidi, morte e distruzione.

Il nostro Laboratorio “La Cura del Vero” ha partecipato all’iniziativa con due contributi. Il primo dedicato a un’analisi accurata dei meccanismi della comunicazione “Per il diritto a Parole di Pace” di Roberto Reale. Il secondo frutto di un approccio, che a partire dalla psicologia, indica sul tema “La necessità di un profondo e pluralista cammino culturale” redatto da Laura Nota, Sara Santilli, Denise Zucchini, Maria Cristina Ginevra e Salvatore Soresi
dell’Università di Padova.

Di seguito qui trovate le presentazioni dei due articoli. Per chi fosse interessato in allegato sono disponibili i Pdf integrali di entrambi i capitoli

Il dibattito anche sulla nostra testata è aperto.

Per il diritto a parole di pace
Roberto Reale
Giornalista e scrittore


La parola pace è stata rimossa dal dibattito politico mediatico in questi anni in Italia. Esperienze virtuose ci sono state, ma l’informazione dominante (telegiornali, quotidiani più influenti, opinionisti tv) ha veicolato un unico messaggio: la guerra è inevitabile, l’Occidente difenda la sua «sicurezza». Il sistema della comunicazione si è mosso in sintonia con governi, NATO, istituzioni europee, industria delle armi, grande finanza. Non ha svolto una funzione critica: la pace è stata dipinta come illusione, la diplomazia esclusa come resa davanti al nemico, le Nazioni Unite sbeffeggiate. L’eccesso di propaganda ha generato profonda insoddisfazione in un’opinione pubblica contraria a aumento delle spese militari e alla guerra come soluzione dei conflitti. Ma il lavoro dei media dominanti, demonizzando ogni istanza pacifista, ha operato per non offrire «sponde politiche» alla volontà popolare. Chi intende proporre «linguaggi di pace» deve attrezzarsi per smontare questi meccanismi che hanno a che fare più col potere che col giornalismo. Da cosa ripartire allora? Il primo punto è il no alla censura, il sì a un sistema mediatico che informi, non nasconda stragi. Beffardamente lo schema ideologico dell’Occidente (mai definito) in lotta contro i suoi nemici è stato messo in crisi da Trump. Improvvisamente sull’Ucraina si è cominciato a parlare di impossibilità di vittoria, della dimensione economica della guerra. La soluzione sta in nuovi approcci informativi. Si faccia parlare chi si occupa di diritti umani, gli storici che inquadrano eventi in contesti più ampi. Si dimostri che anche aspri conflitti sono stati gestiti e risolti con la diplomazia e soluzioni incruente. Psicosi bellicista annebbia le menti. La pace richiede un pensiero che superi l’odio, è un cammino. Il mondo non è in bianco e nero, ha molte scale di colori. E ci vuole una rinnovata capacità di ascolto. Dal basso possono crescere spinte importanti. Gli stessi movimenti devono interrogarsi sulle parole da usare, non sentirsi solo testimoni di minoranza ma attori, espressione della volontà dell’opinione pubblica.

Pace, guerra, diritto alla pace: la necessità di un profondo e pluralista cammino culturale
Laura Nota, Sara Santilli, Denise Zucchini, Maria Cristina Ginevra e Salvatore Soresi
Università di Padova


Il tema pace rimanda a diverse concettualizzazioni; lo stesso si può dire a proposito della guerra. Non hanno un significato univoco, valido in modo universale. Al variare delle teorizzazioni, del contesto storico e socioeconomico, delle discipline che si considerano, varia l’idea di pace e di guerra a cui si sta facendo riferimento. Si passa dal considerare la prima come «pausa» fra una guerra e l’altra, o dal pensare la pace come una fase di superamento di visioni belliciste, o come un processo di costruzione di condizioni il più possibile universali; si parla di pace positiva e negativa, di diversi modi per creare società pacifiche, ecc. La complessità culturale esiste, così come è pulsante un pluralismo concettuale; da un punto di vista psico-sociale questa ricchezza è fondamentale per ragionarci su, ricercare modalità, elaborare pensieri altri per fronteggiare violenza e conflitti armati, non solo per ridurre le sofferenze ma anche e soprattutto per costruire società migliori. Le domande che ci poniamo allora e a questo punto sono: quanto posseggono le giovani generazioni di questa complessità e di questo pluralismo? Quali sono le idee di pace e di guerra a cui fanno riferimento? Purtroppo le nostre recenti ricerche, svolte nell’ambito del Laboratorio La.R.I.O.S. (Laboratorio di Ricerca ed Intervento per l’Orientamento alle Scelte) dell’Università di Padova, con adolescenti stanno mettendo in evidenza tratti di superficialità e di «semplicismo» intorno a questi temi. Tali dati oltre a denunciare la presenza di una certa povertà concettuale, ci spingono sia a considerare l’importanza di promuovere una profonda coscienza critica nei giovani, sia a riflettere come comunità scientifica a riflettere anche sul nostro ruolo e sulla nostra capacità di incidere profondamente nelle istituzioni sociali fondamentali, come famiglia, scuola, terzo settore. Di fatto la ricchezza concettuale non può rimanere patrimonio di pochi e dovrebbe invece e al contrario diventare nutrimento per molti e fonte di ispirazione per immaginare nuove società pacifiche, traiettorie per realizzarle, compresa quella del diritto alla pace per tutte le forme di vita, umane e non, e soprattutto oggi.

  • Redazione

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