Una questione di giustizia sociale: è questo il filo conduttore dei cinque quesiti referendari oggetto della consultazione dell’8 e 9 giugno prossimi. Quello che si è cercato di far emergere nel seminario organizzato lo scorso 28 maggio dal Laboratorio la Cura del vero, insieme al Sindacato giornalisti veneto, mettendo insieme – in un’ottica multidisciplinare e inclusiva – ricerca e informazione allo scopo di promuovere processi di consapevolezza e di capacità di analisi dei fenomeni complessi che caratterizzano la nostra società: disuguaglianze crescenti, attacco ai diritti sociali, civili e anche umani, crisi climatica, guerre, autocrazie, lavoro povero, sfruttamento, precarizzazione, antiscientismo, negazionismo, odio dilagante verso lo straniero, disinformazione, fake news, vulnerabilizzazione, manipolazione.
Un centinaio le persone che hanno seguito on line le relazioni di giornaliste/i, docenti, sindacaliste, religiose l’incontro formativo intitolato “Tocca a noi”, a sottolineare da una parte il richiamo all’impegno individuale per farsi parte e sentirsi parte di una comunità e dall’altra la scelta in prima persona, appunto attraverso il referendum, con un voto che senza delega bensì che va dritto all’interno del processo democratico.
Il referendum interroga, chiede di partecipare, di fare la propria parte, di decidere da che parte stare in modo ragionato e consapevole.
Libertà e uguaglianza necessitano l’esprimersi, con il sì o con il no. Occorre comprendere cosa comportano i quesiti referendari, quali riverberi sociali ne possono discendere a seconda che si risponda affermativamente o meno.
La compiuta e puntuale informazione rispetto al significato di ogni singolo quesito consente di attuare, in scienza e coscienza, il dovere civico di votare sancito dall’articolo 48 della nostra Costituzione
La convinzione è che i referendum servano a costruire un modello di società più giusto ed equo, dove a più forti diritti sociali corrispondano più ampi diritti civili e che siano – come sono – occasione per una politica fatta di partecipazione e democrazia, proponiamo quindi questo momento di riflessione e approfondimento.
Questi referendum hanno il merito di mettere al centro del dibattito pubblico e politico il tema del lavoro, del lavoro povero che impedisce una esistenza libera e dignitosa disavvenendo all’articolo 36 della Costituzione, e il tema dei diritti.
Sono tutti abrogativi: il che significa che se hanno successo la norma oggetto di abrogazione viene rimossa dall’ordinamento giuridico. E per essere validi devono raggiungere il quorum del 50% degli aventi diritto al voto.
Partiamo con l’illustrare i primi due referendum, scheda verde e scheda arancione, che riguardano i licenziamenti illegittimi in un contesto sociale che vede la mercificazione del lavoro, lavoro inteso appunto come merce cui dare un prezzo preciso – quasi sempre se non sempre al ribasso – svilendo e annullando la sua dimensione di valorizzazione professionale e umana della lavoratrice e del lavoratore.
Quesito numero 1 scheda verde – Contratto di lavoro a tutele crescenti- disciplina dei licenziamenti illegittimi in aziende con più di 15 dipendenti
Il testo fa riferimento al decreto legislativo n. 23 del 2015 che è il primo degli otto decreti che compongono il cosiddetto Jobs act e riguarda l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che, entrato in vigore nel 1970, prevedeva che qualunque licenziamento posto in essere da un datore di lavoro che occupa più di 15 dipendenti, se dichiarato illegittimo da un giudice, dava diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro. A questa regola il decreto 23 del 2015 ne ha sostituita un’altra, di fatto dando appunto un prezzo al posto di lavoro: ha imposto infatti la regola dell’indennizzo (fissandone anche il preciso ammontare rapportato agli anni di anzianità di servizio) e la reintegrazione solo in casi eccezionali.
Secondo le stime della Cgil sono oltre 3 milioni e 500mila i lavoratori coinvolti.
Nella mia esperienza di sindacalista ogni qualvolta mi sono trovata ad assistere colleghi licenziati, al momento di decidere l’impugnazione la domanda del nostro legale è stata sempre la stessa, assunto prima o dopo il 2015? Con un palese senso di frustrazione sia da parte di chi tale domanda la poneva, l’avvocata, sia da chi tale domanda la riceveva e cioè io, nella consapevolezza che se il licenziamento fosse stato dichiarato illegittimo dal giudice, il trattamento del lavoratore sarebbe stato del tutto diverso solo e per effetto di un “banale” prima o dopo.
Se si vota sì si mette fine a una ingiustificata disuguaglianza/discriminazione nel mondo del lavoro tra persone che svolgono la stessa attività nello stesso luogo di lavoro ma che sono “differenti” o meglio diseguali “solo” in base alla data stampata sulla lettera di assunzione.
Quesito numero 2 scheda arancione – Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità in aziende con meno di 15 dipendenti
Stando ai dati Inps del 2023 le microimprese – quelle con meno di 16 dipendenti, per la maggior parte a conduzione familiare – sono il 92,51% del totale e occupano il 32,4% del totale dei lavoratori (all’incirca 3 milioni e 600mila occupati).
Si tratta di lavoratrici e lavoratori per lo più poco sindacalizzati e molte volte costretti a un forte stato di soggezione nei confronti della/del titolare con cui spesso si trova a lavorare gomito a gomito.
Per loro in caso di licenziamento illegittimo l’articolo 8 della legge n. 604 del 1996 – quella che il referendum vuole parzialmente abrogare – fissa una sanzione economica da un minimo di 2,5 mensilità a un massimo di 6. Tale regola viene da più parti spiegata con la presunta minore capacità economica delle cosiddette piccole imprese.
La domanda che poniamo è la seguente: siamo certo che il puro requisito del numero degli occupati – vale a dire meno di 16 dipendenti – sia adeguato tutt’ora adeguato a individuare le reali dimensioni economiche di una impresa?
In trent’anni le innovazioni tecnologiche hanno cambiato il mondo e anche le piccole imprese. Al riguardo richiamo la seconda edizione del corso di Alta formazione “Raccontare la Verità, informare costruendo una società inclusiva”, realizzato nell’ambito del protocollo Unipd Fnsi con direttrice la professoressa Laura Nota, che il 5 maggio del 2022 si è aperta con una lectio magistralis di Marco Paolini, l’attore e regista di fama. Eravamo nell’aula Magna del Bo, dove ha insegnato, fra gli altri, anche Galileo Galilei. Ottocento anni di storia. Quattrocento gli uditori, metà in presenza, metà da remoto.
Paolini ha spaziato dal greenwashing alla gig economy prendendo spunto dal saggio di Riccardo Staglianò, fresco di stampa per Einaudi, dal titolo Gigacapitalisti, e in particolare dal capitolo “Mai così tanta ricchezza per così pochi lavoratori”. Paolini ha puntato il dito contro “un “pericoloso disallineamento tra ricchezza aziendale e forza lavoro” e ha elencato alcuni esempi tratti dal testo.
Quando YouTube viene comprata da Google per 1,65 miliardi di dollari la sua forza lavoro consisteva di 65 persone, per la maggior parte ingegneri. Ognuno di loro, facendo una semplice divisione, valeva 25 milioni di dollari (…). Instagram, la piattaforma per condividere foto, aveva 13 dipendenti nell’aprile del 2012 quando Facebook decide di acquisirla al prezzo di un miliardo di dollari. Il che fa 77 milioni per dipendente…”. Ben lontani dal record di 345 milioni di dollari ascritto ai 55 dipendenti di WhatsApp quando nel febbraio 2014 Zuckerberg paga per la società qualcosa come 19 miliardi di dollari.
Ecco che le aziende sono diventate sempre più “leggere” grazie alla continua evoluzione tecnologica e con utili e quotazioni da capogiro. Ed ecco che le dimensioni dell’impresa in termini occupazionali ai tempi dalla gig economy non possono quindi essere l’unico criterio valido nel Diritto del lavoro e in particolare in materia di licenziamento illegittimo.
Ad ascoltare Paolini c’era anche un avvocato del lavoro di Bologna, Alberto Piccinini, presidente dall’associazione Comma2 – dai cui ho preso spunto – che in una causa che stava trattando davanti alla Suprema Corte in materia di licenziamento illegittimo ha portato proprio gli esempi citati da Paolini.
Ed è così che il 22 luglio dello stesso anno è giunta la sentenza numero 183 della Corte Costituzionale che rigetta la questione ma, come dire, non rinnega e afferma: “Il numero dei dipendenti (…) non rispecchia di per sé l’effettiva forza economica del datore di lavoro…” Anzi, “in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari. Il criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde, dunque, all’esigenza di non gravare di costi sproporzionati realtà produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli.”
Se si vota sì, l’eliminazione del tetto massimo di indenizzo darebbe la possibilità al giudice di risarcire il danno da licenziamento illeggittimo considerando nei fatti, caso per caso, anche le reali dimensioni dell’attività economica, senza un limite predeterminato per legge e affermando dunque valori di oltre che di ragionevolezza anche di equità. E di giustizia sociale.
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Componente della giunta esecutiva della Federazione Nazionale Stampa Italiana, dal 2017 è segretaria regionale del Sindacato giornalisti Veneto. Membro del comitato direttivo dei i due corsi di Alta Formazione ‘La passione per la verità e la costruzione di contesti inclusivi’ organizzati con l’Università di Padova e insieme a FNSI, Articolo 21, Sindacato Giornalisti del Veneto. Giornalista con la passione del linguaggio e del suo utilizzo nella pratica quotidiana di chi fa informazione. Impegnata nella difesa dei diritti dentro e fuori le redazioni. È fra le ideatrici e promotrici del Manifesto di Venezia, una delle “carte” di autoregolamentazione della categoria contro la discriminazione di genere e la violenza sulle donne attraverso parole e immagini. Cronista di nera del Gazzettino dal 2004 ha documentato, fra le altre, le inchieste dello scandalo Mose e dell’infiltrazione camorristica nel Veneto orientale. In precedenza libera professionista nei diversi ambiti della comunicazione.