La Cura del Vero

Sei pedalate per la libertà di stampa. Rosso sangue: da Conselice a Cinisi

Sei pedalate per un volantino. Sei pedalate per una pagina di giornale. Sei pedalate per la stampa libera. È una storia da non dimenticare. È una storia da raccontare. È una storia per nulla scontata e per nulla sbagliata. Scritta con l’inchiostro rosso sangue di giovani mai diventati uomini. Una storia di periferia, quella romagnola.

Siamo a Conselice, nel ravennate. Terra di gente forte, generosa, tenace. Terra nel profondo legata all’acqua e alla fatica del lavoro dei campi. Terra di coraggio e di dolore di partigiane e di partigiani. Terra che ha memoria della sua storia e delle sue tradizioni, che non teme di celebrare: ed ecco il Monumento alle mondine e agli scariolanti, il Monumento alla libertà di stampa e alla stampa clandestina, un unicum in Italia.

Ed è su quest’ultimo che vogliamo soffermarci. No, i giornalisti non c’entrano. Anche se di fatto ne esalta il ruolo fondamentale per lo sviluppo e la crescita di una società democratica, aperta, pluralista, equa.

C’entrano quattro ragazzi, della prima metà del Novecento, coetanei dell’attuale sindaco, Andrea Sangiorgi, che di anni ne ha appena 25.

Per due di loro la vita si è fermata a 22 e a 23 anni, per gli altri a 30. Siamo nel 1944. Fucilati la mattina del 1. ottobre al poligono di tiro di Bologna. La loro colpa?  Aver scelto da che parte stare, quella dell’uguaglianza, della fratellanza, della giustizia sociale. Quella che ripudia il fascismo e il nazismo. Sono partigiani della 28. Brigata Garibaldi “Mario Gordini” guidata dal comandante Bulow, al secolo Arrigo Boldrini. Vengono catturati dai tedeschi il 10 settembre durante un rastrellamento fra Conselice e Massa Lombarda, in località “Basse” a Villa Serraglio.

Pio Farina (Ferruccio), nato l’11 agosto del 1922, è un bracciante. Giovanni Quarantini (Giannetto), nato il 5 maggio 1914, è un muratore. Cesare Gaiba (Diego), nato il 30 maggio 1921, è un barbiere. Egidio Totti (Febo), nato il 15 luglio 1914, è un contadino. Risiedono a Conselice e sono partigiani da meno di un anno e la lotta al nazifascismo li fa diventare tipografi. Proprio così.

All’indomani dell’8 settembre 1943 i dirigenti partigiani hanno subito ben chiaro che il nemico si combatte anche con la cultura, con il pensiero critico: per sconfiggere la propaganda nazifascista serve un’informazione liberata e libera, soprattutto condivisa e comunicata di casa in casa.

Ed è così che Ferruccio, Giannetto, Diego e Febo che pedalano e pedalano. E più pedalano e più stampano. E più sono veloci e prima finiscono. Il fattore tempo è vitale non solo per la diffusione ma anche per non essere scoperti.  Sudano, quanto sudano su quella macchina da stampa di ghisa, pesantissima, che non a caso si chiama pedalina.

Era stata recuperata in una tipografia di Imola, e dopo essere stata riparata, nel gennaio del 1944 fu portata a Conselice nascosta nel camioncino di una commerciante di pesce.

Per farla funzionare ci volevano persone di sana e robusta costituzione, abituate a faticare. Sei pedalate per un solo volantino, figuriamoci per un foglio di giornale.  E pedalata dopo pedalata, spesso con l’acqua alla caviglia perché la stamperia era sottoterra e il pavimento sprofondava sotto il peso della “pedalina”, Ferruccio, Giannetto, Diego e Febo stampano l’Avantil’UnitàIl PopoloLa LottaIl GaribaldinoNoi DonneLa Voce Repubblicana, solo per citarne alcune testate antifasciste. È del 1926 la legge “fascistissima” che di fatto mette al bando tutte le testate di informazione indipendenti.

E sempre pedalando, stavolta curve sulle biciclette, le “staffette” partigiane raggiungevano Ferrara, Bologna, Forlì, sfidando posti di blocco e controlli, per distribuire i giornali che avevano nascosti sotto gli abiti.

Come spiega sul sito di “Patria Indipendente” Ivano Artioli, presidente dell’Anpi provinciale di Ravenna fino al 2022, «è grazie all’interessamento del sindaco di allora e di un vecchio partigiano di Conselice che quella “pedalina” nel 2006 per anni abbandonata in una cascina è tornata a raccontare a tutti che cosa ha rappresentato la lotta di Liberazione. E cosa significa la libertà di stampa».

Diventando appunto un monumento, riparata da una grande teca di vetro nel centro della cittadina, nella piazza ribattezzata Libertà di stampa. A testimoniare il sacrificio e l’eroismo di Feruccio, Giannetto, Diego e Febo, stampatori clandestini, il coraggio delle staffette partigiane che distribuivano clandestinamente i giornali, l’importanza della libertà di stampa patrimonio comune, la determinazione di una intera comunità che scelse di stare dalla parte giusta della storia. E che nel 2023 ha saputo reagire, risollevandosi per l’ennesima volta, alla tremenda alluvione che ha sommerso aziende, case, terreni coltivati, strade, edifici pubblici.

Da 19 anni, dunque, ogni 1. ottobre davanti alla “pedalina” si commemora la Resistenza, la Liberazione, l’antifascismo, l’informazione indipendente, “non soggetta a censura” come recita l’articolo 21 della Costituzione, la giustizia sociale.

A organizzare l’appuntamento sono il Comune, l’Anpi e l’Assostampa Emilia Romagna: un momento di riflessione che coinvolge anche i giovani, le scuole elementari e medie.

E non a caso, in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa, la Federazione nazionale stampa italiana, per il 3 maggio ha scelto proprio Conselice come sfondo per la sua manifestazione principale, contribuendo anche alla nascita dell’Osservatorio sulla libertà di stampa, presieduto da Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica sotto scorta per le sue inchieste sul neofascismo.

L’edizione appena trascorsa, ha visto tra le altre iniziative, un convegno di approfondimento sul diritto dovere di informare insieme a inviati di guerra e cronisti minacciati e spiati. Nell’ottantesimo della Liberazione partigiana, ha sottolineato Alessandra Costante, segretaria generale Fnsi, questa ricorrenza assume un valore ancor più pregnante in un momento in cui la categoria subisce su più fronti attacchi che hanno un unico obiettivo: imbavagliare le giornaliste e i giornalisti.

E anche la categoria dei giornalisti piange i suoi morti sul lavoro. Ammazzati. Dalla criminalità organizzata o dal terrorismo.

Il 9 maggio del 1978 fu ucciso a Cinisi, in provincia di Palermo, Peppino Impastato, attivista di Democrazia proletaria, che dai microfoni della sua Radio Aut denunciava i crimini e gli affari di Cosa Nostra e dei mafiosi locali, primo fra tutti Gaetano Badalamenti, nel 2002 riconosciuto e condannato all’ergastolo quale mandante del brutale omicidio del trentenne.

Picchiato a morte e adagiato sui binari della ferrovia, Impastato fu fatto saltare in aria quasi a inscenare un attentato fallito o un suicidio per infangarne la memoria. La notizia del ritrovamento del suo cadavere dilaniato passò quasi sotto silenzio perché a distanza di poche ore fu scoperto a Roma in via Caetani il corpo senza vita di Aldo Moro, rapito 55 giorni prima, il 16 marzo dalle Brigate Rosse.

È di questi giorni la pubblicazione della consueta classifica di Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa: l’Italia è al 49. posto a sottolineare che il mestiere di cronista soffre di criticità irrisolte. L’ingerenza massiccia della politica sulla governance del servizio pubblico – leggi Rai – la concentrazione della proprietà delle testate giornalistiche, le cosiddette querele bavaglio strumento prediletto dai potenti per zittire i cronisti scomodi, il precariato selvaggio, lo sfruttamento lavorativo con articoli pagati pochi euro, la manipolazione dell’informazione, la proliferazione di fake news, l’adozione di norme legislative che comprimono sempre più il diritto di cronaca.

“Una stampa libera può essere buona o cattiva, ma senza libertà, la stampa non potrà mai essere altro che cattiva” dichiarava Albert Camus.

  • Monica Andolfatto

    Componente della giunta esecutiva della Federazione Nazionale Stampa Italiana, dal 2017 è segretaria regionale del Sindacato giornalisti Veneto. Membro del comitato direttivo dei i due corsi di Alta Formazione ‘La passione per la verità e la costruzione di contesti inclusivi’ organizzati con l’Università di Padova e insieme a FNSI, Articolo 21, Sindacato Giornalisti del Veneto. Giornalista con la passione del linguaggio e del suo utilizzo nella pratica quotidiana di chi fa informazione. Impegnata nella difesa dei diritti dentro e fuori le redazioni. È fra le ideatrici e promotrici del Manifesto di Venezia, una delle “carte” di autoregolamentazione della categoria contro la discriminazione di genere e la violenza sulle donne attraverso parole e immagini. Cronista di nera del Gazzettino dal 2004 ha documentato, fra le altre, le inchieste dello scandalo Mose e dell’infiltrazione camorristica nel Veneto orientale. In precedenza libera professionista nei diversi ambiti della comunicazione.

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