La parola ma anche il gesto. Concreto, genuino, trasformatore. Papa Francesco è stato il papa dei gesti quotidiani, quelli che parlano direttamente al cuore, quelli che trasmettono messaggi autentici. Una prassi che si fa verbo e che, citando Gramsci, diventa verità. Che si mostra e non ha timore di farlo. Anche nella malattia.
Papa Francesco non si è nascosto bensì al contrario ha voluto svelare la fragilità umana che appartiene a ognuno di noi ontologicamente, ma che spesso dimentichiamo e che tocchiamo con mano, a volte, solo nel momento del bisogno di cura.
Ogni gesto compiuto da papa Francesco ha un portato simbolico enorme, immortalato da immagini che segnano il vissuto collettivo: a San Pietro in sedia a rotelle, abito “borghese” con poncho argentino a righe e pantaloni scuri, senza zucchetto e talare bianca.
Uno di noi, uno di noi che sta male, uno di noi che soffre, uno di noi che non rinuncia alla dimensione della socialità, che vuole stare in mezzo alla gente, che rivendica il diritto di essere trattato fino alla fine per quello che è, non per quello che rappresenta, o per quello che altri vogliono imporgli di essere per “questione” di status.
Questo si vede in quella “visita a sorpresa” che cancella il grado sempre più crudele di separazione fra i “sani” e i “ malati”, fra i “normali” e i “disabili”, tra i “primi” e gli “ultimi”. Papa Francesco ha compiuto una crociata silenziosa e per ciò più efficace contro la sostantivizzazione degli aggettivi che toglie dignità, facendo un’operazione di restituzione di dignità medesima utilizzando e incarnando il termine persona contrapposto a individuo senza volto, senza cuore, disumanizzato.
Siamo tutti sempre e comunque persone al di là e al di sopra del fatto che siamo malati, fragili, con disabilità, poveri, migranti, disoccupati, uomini, donne, ricchi, sani, buoni, cattivi, giovani, anziani.
Un atto per certi versi rivoluzionario che recupera uno dei concetti cari al primo papa gesuita: la solidarietà; che per essere tale deve essere universale. Come insegnato dal “poverello di Assisi”, del quale non a caso ha scelto il nome. A sottolineare che le trasformazioni radicali partono dal basso, avvengono da dentro la società, sono inclusive e condivise, annullano il confine fra umanità e natura perché si è Creato.
Nulla è più inclusivo della malattia, parentesi tra la vita, la morte, e – per chi è credente – la resurrezione.
Un’eredità preziosa lasciata pure ai laici, che in Papa Francesco hanno potuto trovare un esempio di condotta tesa a ridurre le diseguaglianze, le distanze fra i “pauci electi” e i tanti “perdenti”, a far emergere le contraddizioni di una Chiesa a volte non sufficientemente ecclesia, ad avvicinare credenti e laici.
Si è detto, in modo spregiativo per la più retriva ortodossia, di un papa comunista. La stessa accusa – con espressioni certo diverse – formulata nei confronti di Francesco d’Assisi. Dimenticando, con dolo, che uguaglianza, fratellanza, solidarietà, cura dell’ambiente sono principi cardine del Vangelo. Come la speranza in un mondo migliore: senza guerre, senza abusi, senza violenza.
E torniamo ai gesti, carichi di senso, carichi di profezia.
Era il 2015 quando decise di realizzare, sotto il colonnato del Bernini, le docce con servizio di barberia, per i “pellegrini senza tetto”, permettendo loro di bivaccare la notte al riparo dei portici di San Pietro.
Era il 2019 quando inviò il suo Elemosiniere a riallacciare l‘elettricità nel palazzo ex Inpdap di via Santa Croce in Gerusalemme a Roma occupato da oltre cinque anni da 420 persone, tra cui un centinaio di minorenni. Il cardinale Konrad Krajewski si calò fisicamente nel vano del contatore per togliere i sigilli, lasciando un biglietto nel quale si assumeva la piena responsabilità dell’atto illegale ma giusto. Come si può lasciare la gente senza luce, acqua, gas?
Gesti che ridanno dignità, gesti che richiamano alla responsabilità soggettiva, gesti che respingono la logica del profitto e dello sfruttamento come l’unica possibile, gesti che rifiutano l’indifferenza, la stessa che Gramsci bollava come complicità.
Gesti che sono politica. Militante.
Chi oggi afferma che un’epoca si chiude, parafrasando Robert Musil, non ha compreso quella attuale.
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Componente della giunta esecutiva della Federazione Nazionale Stampa Italiana, dal 2017 è segretaria regionale del Sindacato giornalisti Veneto. Membro del comitato direttivo dei i due corsi di Alta Formazione ‘La passione per la verità e la costruzione di contesti inclusivi’ organizzati con l’Università di Padova e insieme a FNSI, Articolo 21, Sindacato Giornalisti del Veneto. Giornalista con la passione del linguaggio e del suo utilizzo nella pratica quotidiana di chi fa informazione. Impegnata nella difesa dei diritti dentro e fuori le redazioni. È fra le ideatrici e promotrici del Manifesto di Venezia, una delle “carte” di autoregolamentazione della categoria contro la discriminazione di genere e la violenza sulle donne attraverso parole e immagini. Cronista di nera del Gazzettino dal 2004 ha documentato, fra le altre, le inchieste dello scandalo Mose e dell’infiltrazione camorristica nel Veneto orientale. In precedenza libera professionista nei diversi ambiti della comunicazione.