
Padova, lunedì 30 giugno – Piazza Cavour
Una partitura arrivata su WhatsApp, qualche messaggio condiviso tra corridoi e fermate del tram, spartiti che viaggiano più veloci delle notizie. Così è arrivata anche a Padova Musica contro il Silenzio, la manifestazione partita spontaneamente da Firenze da un piccolo gruppo di musicisti che non poteva più restare in silenzio di fronte al massacro in Palestina.
Alle 19:30 in punto, sotto uno dei pomeriggi più torridi dell’estate padovana, si è alzata la prima nota. Archi, fiati, coristi, dilettanti e professionisti si sono stretti in cerchio al centro di Piazza Cavour. Nessun palco, nessuna luce da teatro. Solo un maestro che dirige con mani attente, come se davanti ci fosse un pubblico da prima della Scala. Eppure, in quella piazza, il pubblico è fatto di passanti, famiglie, studenti, gente comune che si ferma e si commuove.
Mentre i primi accordi si diffondevano nell’aria rovente, un vento improvviso ha attraversato la piazza. Come se la musica lo avesse chiamato, quel vento ha fatto sventolare le bandiere della pace e della Palestina, appese tra i lampioni e i pali delle bici. Un’immagine che non era scritta in nessuna partitura, ma che ha dato senso profondo a tutta la scena.
Tra i brani scelti: estratti dal Requiem di Mozart, due struggenti canti popolari palestinesi – Al Zaitune, che racconta la forza e la dignità degli ulivi, e Yamma Mwel El-Hawa, canto d’amore e di separazione – oltre a Bella Ciao e l’Inno alla Gioia di Beethoven, suonato come appello alla coscienza europea.
«Lacrimosa dies illa…» intonano i cori, mentre
Una donna, con il libro Il loro grido è la mia voce – poesie da Gaza (Fazi Editore) aperto e la voce tremante, recita:
«Posso scrivere una poesia / con il sangue che sgorga, / con le lacrime, con la polvere nel mio petto…»
«Cosa può una poesia?»
In quella domanda c’è tutto il senso di questo evento: che cosa può l’arte contro le bombe? Cosa può una canzone contro un assedio?
Eppure, anche se non ferma i razzi né ricuce le ferite, la musica può dare dignità. Può testimoniare. Può gridare dove il silenzio complice – quello delle istituzioni, dei media, della politica – è diventato assordante.
Il valore simbolico dei brani si fa evidente: il Requiem per le vittime; Al Zaitune e Yamma Mwel El-Hawa per il legame con la terra e con la vita quotidiana interrotta; Bella Ciao come richiamo alla memoria condivisa; e l’Inno alla Gioia, che interroga il nostro continente.
Un’Europa dei popoli, scriveva Schiller.
Un’Europa della fratellanza, sognava Beethoven, sordo e disilluso, mentre componeva la Nona.
Ma oggi quelle note – in una piazza esposta al sole, mentre sventolano bandiere di libertà – sembrano chiedere: dov’è finita quella visione?
Il pubblico ascolta. Qualcuno piange. Qualcun altro si unisce con la voce, in un coro che non ha prove alle spalle, ma ha verità nella gola.
«Una madre a Gaza non dorme… si erge come uno scudo di fronte alla morte»,
recita un altro passaggio poetico, accompagnato da un singolo violino che pare trattenere il respiro.
Dietro tutto questo non c’è un’organizzazione centralizzata, ma una rete di persone che si sono trovate, coordinate, mosse da un’urgenza comune. A dirlo è anche il comunicato del movimento:
«Non siamo politici, non siamo analisti, non siamo giornalisti. Ma a Gaza non c’è guerra. C’è un genocidio. E noi non distogliamo lo sguardo. Continueremo a portare la nostra musica tra la gente, insieme ai palestinesi».
Nelle parole e nelle note di Musica contro il Silenzio, ogni suono è un gesto politico. Ogni poesia, una forma di resistenza. Ogni piazza, un luogo di memoria.
Padova non fa eccezione. In Piazza Cavour, la musica non cerca applausi, ma ascolto. Non cerca consensi, ma coscienze. È una “disobbedienza gentile”, come l’ha definita uno dei musicisti: inflessibile nel suo intento di ridare umanità dove è stata tolta.
Il concerto finisce, ma la piazza non si svuota subito. Qualcuno resta, in silenzio. Qualcun altro si avvicina, ringrazia, chiede di partecipare alla prossima.
«Se devo morire, / tu devi vivere / per raccontare la mia storia…»
«…Così che un bambino, da qualche parte a Gaza, / vedendo volare un aquilone, / pensi per un momento / che lassù ci sia un angelo / che riporta l’amore.»
Così si chiude il pomeriggio: con un verso e un respiro, nella speranza che la poesia e la musica non servano solo a commuovere, ma a cambiare.
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Psicologa-psicoterapeuta perfezionata in Psicologia dell'orientamento alle scelte scolastico-professionali e ricercatrice presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'Università di Padova. Docente di "Psicologia dell'inclusione e della sostenibilità sociale" e di "Career Counselling e orientamento professionale in contesto multiculturale". Dal 2009 collabora con il Laboratorio La.R.I.O.S. all'organizzazione e all'attuazione di progetti di orientamento, e alla realizzazione di ricerche relative al tema delle vulnerabilità, dell'orientamento e dell'inclusione lavorativa. È membro del comitato direttivo del Laboratorio La.R.I.O.S., vicepresidente della Società Italiana di Orientamento (SIO) ed è membro dell'Advisory Board dell'International Journal for Educational and Vocational Guidance. Attualmente è coordinatrice del progetto europeo Equi-T (sistema europeo di sviluppo della qualità per l'educazione inclusiva e la formazione degli insegnanti).