“1955: Presentata la FIAT 600 con motore posteriore, prezzo 590.000 lire”.
“1958: Nasce la Nuova 500Sport: motore di 400 cc., costo 650.000 lire, velocità 105 km/h”.
“1959: Nasce la 500 con tetto apribile – per 4 persone – 435.000 lire vel. 90 km/h”.
“1961: Viene assegnata la targa TO400000 (400mila immatricolazioni)”.
“1962: Raddoppio autostrada Torino-Milano”.
“1964: La FIAT presenta la Fiat 850″ – prodotta in 2.865.800 esemplari”.
“1968: Assegnata la targa TOA00000 (1.000.000 di veicoli immatricolati)”.
Sono estratti da una cronologia della città di Torino tra gli anni Cinquanta e i Sessanta nella quale mi sono imbattuto cercando documenti nel web (https://www.atlanteditorino.it/enciclopedia/Storia.htm#google_vignette). Scarna come gli annali di Carlo Magno – ogni riga un evento – è abbastanza ovvio che, tra i fatti più ricorrenti, vi trovino spazio quelli relativi al mondo dell’automobile: Torino è (o, meglio: era) la città della FIAT.
Si era nei “Trente Glorieuses”, come chiamano in Francia l’intervallo tra il 1945 e il 1975: anni di vivace sviluppo economico, di conflitti e di trasformazioni profondissime della società, in ogni suo aspetto. Fantomas, al cinema, volava sopra Parigi a bordo della sua Citroën-DS, l’automobile era il fulcro simbolico della nascente civiltà dei consumi e prometteva a tutti l’agognata dose di autonomia e di libertà.
Oggi viviamo tempi molto diversi.
I colossi europei dell’auto sono in una crisi nerissima. In Italia l’industria automobilistica è quasi scomparsa e anche dalla Germania giungono pessime notizie (https://finanzmarktwelt.de/volkswagen-2-fabriken-ueberfluessig-500-000-autos-weniger-verkauft-321291/): alla VolksWagen sono decine di migliaia le auto invendute, ferme nei piazzali; e altrettanti i posti di lavoro minacciati. Benché ci sia ancora chi si ostina a sostenerne l’immagine più seduttiva e ottimistica («I tuoi sensi hanno bisogno di viaggiare liberi e senza confini», recita un recentissimo spot Peugeot – https://youtu.be/ex0Zfz1yv-Y), le auto non si vendono più, nemmeno quelle elettriche: il mercato è in mano ai cinesi.
Cicli dell’economia e della storia, si dirà, è inevitabile, è il Progresso! Ma forse, al contrario, in questa crisi c’è, nascosta, l’opportunità di riprendere in mano la direzione del nostro modello di sviluppo e quindi di convivenza… Sì, sarebbe bello, ma come si fa?
Un consiglio, un monito, un’indicazione ci giungono dalla spaventosa tempesta che s’è abbattuta su Valencia, nell’Est della Spagna (https://elpais.com/espana/2024-10-29/la-dana-en-espana-en-directo-ultimas-noticias-del-temporal-y-las-inundaciones.html). L’intera regione è sommersa da una valanga di fango dovuta a piogge estese e violentissime. Decine di morti e di dispersi: un disastro immane. Poi arriva una serie di foto, per lo più pubblicate dagli utenti dei social network (https://x.com/Meteovilles, https://x.com/OlivierJorba), che offre una risposta lugubre a tutti i nostri dubbi sul destino della civiltà che l’automobile ha simboleggiato.
Immensi cumuli di auto, alte montagne di lamiere colorate: ammassate nelle strade, spazzate via dall’acqua con violenza geologica… eccole là le nostre amate automobili che dovrebbero farci viaggiare liberi… Sono finite tutte in un vicolo cieco, ridotte a rottami sporchi e inservibili, quelli di un modello di sviluppo sommerso dalla sovrabbondanza e dall’incapacità di guardare al di là del nostro naso.