La Cura del Vero

L’IA nelle redazioni italiane, questa (quasi) sconosciuta…

Uno studio Lumsa-Ordine evidenzia che solo un giornalista su quattro utilizza l’intelligenza artificiale per contrastare la disinformazione mentre un sondaggio Eurobarometro spiega che i giovani UE per informarsi scelgono i social e si dicono sicuri di saper riconoscere le fake news

Da una parte una categoria, quella dei giornalisti italiani, che sembra non conoscere – e di conseguenza non usare a dovere – l’intelligenza artificiale e i suoi principali strumenti (ma è unanime il riconoscimento  della necessità di una regolamentazione della materia); dall’altra la comunità, decisamente più ampia, dei giovani dell’Unione Europea (e tra questi, va da sé, gli italiani) che per informarsi privilegiano in maniera marcata i social. 

I due distinti dati vengono rispettivamente dalla ricerca – presentata pochi giorni fa – su “L’intelligenza artificiale nella professione del giornalista” frutto della collaborazione fra l’Ordine Nazionale dei Giornalisti e l’Università Lumsa, e da un’edizione del sondaggio Eurobarometro dedicata specificatamente ai giovani tra i 16 e 30 anni, i risultati della quale sono stati diffusi a metà febbraio scorso. 

Ricerche distinte, campioni e metodologie differenti, obiettivi nemmeno minimamente sovrapponibili, si dirà. Ma, pur tenendo bene a mente la lezione ricevuta alle elementari che non si possono sommare mele e pere, é chiaro che il ristretto lasso di tempo nel quale sono stati diffusi i dati dei due studi provoca una forte suggestione, quella di provare a intersecarli così da poter fare un ragionamento di più ampio respiro. Non fosse altro perché al centro di ambedue le ricerche  rimane l’informazione, il suo ruolo, la sua produzione professionale (anche col crescente… ma non troppo ricorso all’IA) e la sua fruizione.

Partiamo dalla ricerca Lumsa-Ordine Nazionale dei Giornalisti. Il questionario è stato predisposto e distribuito con Google Moduli; l’arco temporale di raccolta dei dati è stato di circa tre mesi, da metà novembre 2024 a gennaio 2025, raggiungendo 972 giornalisti (professionisti e pubblicisti, tutti accomunati sotto l’etichetta statistica di “rispondenti validi”). I risultati sono stati articolati in sei sezioni tra le quali due rispettivamente dedicate a familiarità̀ – conoscenza degli strumenti di IA e alla frequenza dell’utilizzo  degli strumenti di IA nella pratica professionale. 

“In termini generali – si legge tra l’altro nel report -, emerge una conoscenza non elevata sui diversi strumenti. In particolare, la “traduzione dei testi” risulta l’ambito con la conoscenza più̀ elevata, con un punteggio di 2,7, leggermente superiore alla media, seguita dagli strumenti per la produzione di immagini (2,30). La conoscenza risulta più scarsa nei confronti di strumenti di IA per la generazione di suoni e musica (1,85) e video (1,91)”. Per quanto riguarda la frequenza dell’uso degli strumenti di IA nel report  “emerge che, in generale, i giornalisti utilizzano gli strumenti di IA con una frequenza relativamente bassa nel loro lavoro quotidiano. Le due categorie di strumenti maggiormente utilizzate sono, nell’ordine, le tecnologie per la traduzione automatica di testi, che registrano un valore medio di 2,50 su 5 e gli strumenti di generazione di immagini, con un valore medio di 1,80. Al contrario, l’uso meno frequente riguarda gli strumenti di IA generativa per la creazione di suoni, che presentano il valore medio più̀ basso, pari a 1,69, ovvero prossimo al non utilizzo”. Ma il dato sul quale occorre fare un supplemento di riflessione è quello che proprio in questa fascia di scarso utilizzo figurano gli strumenti di fact-checking (oltre 3⁄4 del campione praticamente non li usa)!

Volendo utilizzare come quadro di sintesi dei punti focali della ricerca (ma solo relativamente a questo testo) la sezione relativa alla percezione della ricaduta dell’intelligenza artificiale sul giornalismo, emerge – in maniera assolutamente sintetica – che “il 76,3% è favorevole a dichiarare l’uso dell’IA nella produzione di contenuti” mentre “l’80,7% sostiene che l’uso dell’IA deve essere regolamentato da leggi e codici deontologici. Inoltre “il 50,2% del campione teme che l’IA aumenti la produzione di contenuti di bassa qualità̀; il 31,3% considera l’IA un rischio per la diffusione di fake news e solo il 24% pensa che migliori la verifica delle fonti”. 

È in questo quadro tutto italiano del rapporto tra IA e giornalismo (con un occhio di riguardo anche al tema della formazione specifica con il 70% del campione che si dichiara totalmente o molto interessato a partecipare a corsi dedicati) che fa da scenario – anche – alla recente edizione del periodico sondaggio “Eurobarometro”, commissionato dal Parlamento Europeo,  dal quale emerge in maniera chiara che i social media siano la principale fonte di informazione per i giovani europei. Segnatamente per le vicende politiche e/o sociali il 42% del campione intervistato (circa 25mila giovani di età compresa tra i 16 e i 30 anni di tutti i Paesi UE) sceglie per informarsi proprio il composito mondo dei social lasciando il posto d’onore sul podio alla “vecchia” televisione comunque ben distante (si ferma al 39%). 

Instagram è la piattaforma più gettonata per scrollare notizie politiche e sociali (47%), seguita da TikTok (39%) mentre X è utilizzato solo dal 21% dei giovani del campione. La tv si prende però la sua rivincita sui social almeno in alcuni Paesi dell’UE come, ad esempio, proprio l’Italia dove la diffusissima “scatola magica” rimane  la principale fonte di informazione per i giovani (52%). Dalla stessa rilevazione emerge ancora che la stampa online e/o le piattaforme di notizie e radio sono invece le fonti di informazione primaria per il 26% dei partecipanti. 

Ma guai a immaginare che tutto fili liscio nel mondo digitale: i giovani UE sono, infatti, consapevoli del rischio della disinformazione online tanto che il 76% del campione  ritiene di essere stata precedentemente esposta a disinformazione e fake news (anche se ben il 70% dei partecipanti al sondaggio si è detto fiducioso di poterla e  saperla riconoscere).

Al di là della sicurezza mostrata da quasi i tre quarti del campione di non cadere in trappola, non vi è dubbio che quello della disinformazione oltre che avvertito sia anche un rischio (pericolo?) per scongiurare il quale sarebbe indispensabile poter contare, tra l’altro, su giornalisti professionalmente formati e magari capaci di utilizzare proprio nel fact checking anche quegli “attrezzi” che l’IA mette a disposizione ma che, almeno in Italia secondo la ricerca Lumsa-Ordine Nazionale dei Giornalisti, sembrano rimanere desolatamente in fondo alla valigetta dei ferri del mestiere.

  • Aldo Mantineo

    Giornalista professionista, ha lavorato per oltre trent’anni alla Gazzetta del Sud dove è entrato da collaboratore della redazione di Siracusa nel 1987 finendo da caposervizio della redazione di Reggio Calabria. Per oltre venti anni è stato anche corrispondente da Siracusa dell’Agenzia ANSA. E’ autore – tra l’altro - di pubblicazioni dedicate al tema della disinformazione, alla gestione degli uffici stampa nell’era dei social e alle problematiche etiche e deontologiche legate al ruolo dell’intelligenza artificiale nei processi di produzione professionale dell’informazione. Attualmente ricopre il ruolo di Presidente facente funzioni del Consiglio di Disciplina Territoriale dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e, da settembre 2022, è anche Commissario del Corecom Sicilia, il Comitato Regionale per le Comunicazioni, organismo di consulenza dell’Assemblea Regionale Siciliana e della Giunta Regionale Siciliana. Per quest’ultimo organismo si occupa in maniera specifica di par condicio elettorale legata al sistema radiotelevisivo locale e di media education.

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