La Cura del Vero

La libertà non è un’eredità, è una responsabilità

Viviamo un tempo attraversato da tensioni profonde. Il conflitto in Medio Oriente, con la tragica escalation di violenza tra Israele e Palestina, ha sollevato reazioni forti in tutto il mondo. Anche in Italia, studenti e studentesse hanno sentito il bisogno di manifestare, di prendere posizione, di far sentire la propria voce.

In questo contesto, nel febbraio 2024, a Pisa, si è verificato un episodio che ha lasciato un segno: una manifestazione studentesca pacifica si è conclusa con un intervento delle forze dell’ordine che ha sollevato perplessità e critiche, anche a livello istituzionale. Le immagini diffuse hanno acceso un dibattito sull’equilibrio tra sicurezza e diritto alla protesta. Il Presidente della Repubblica ha ricordato il valore costituzionale della libertà di espressione, ma le reazioni successive sono state disomogenee: da una parte, richiami al rispetto dei diritti; dall’altra, interpretazioni che tendevano a spostare l’attenzione su una presunta pericolosità dei manifestanti, piuttosto che sul merito delle loro richieste.

Non si tratta di un caso isolato. La possibilità di dissentire, di costruire spazi di dibattito pubblico e di esprimere punti di vista complessi sembra oggi più faticosa. Le società democratiche attraversano ovunque un momento critico, in cui pluralismo, partecipazione e libertà rischiano di essere letti come elementi di disturbo.

Nel nostro Paese, le tensioni legate al diritto all’informazione hanno assunto particolare evidenza nel maggio 2024, quando i giornalisti della RAI hanno proclamato uno sciopero per denunciare condizionamenti e pressioni percepite come incompatibili con l’autonomia editoriale. Quando la libertà di informazione si indebolisce, la qualità del dibattito pubblico si impoverisce, e con essa si riduce anche la capacità critica della cittadinanza.

Altre recenti decisioni legislative sollevano interrogativi simili. L’estensione del reato di gestazione per altri al livello universale – includendo quindi anche casi avvenuti all’estero dove la pratica è legale – è stata giustificata come misura di tutela, ma ha anche suscitato timori rispetto all’impatto che può avere sulla già fragile condizione giuridica delle famiglie omogenitoriali. Non meno rilevante, sotto il profilo delle libertà civili, è l’approvazione del Decreto Sicurezza, che prevede un inasprimento delle pene per chi partecipa a manifestazioni, anche attraverso forme non violente come la resistenza passiva, e rafforza le sanzioni per chi occupa o contesta lo spazio pubblico. In nome dell’ordine, si restringe ulteriormente lo spazio del dissenso.

Tutto questo accade mentre, sul piano internazionale, si affermano narrazioni semplificate e polarizzanti, che vedono nei media uno strumento per rafforzare il consenso interno attraverso l’individuazione di nemici esterni o interni. Si parla, non a caso, di “guerra cognitiva”: una strategia comunicativa che mira a riscrivere la realtà, consolidare il controllo e ridurre al minimo le zone grigie del confronto democratico.

Anche l’Europa vive un momento delicato. La crescita dell’estrema destra in diversi Paesi e il recente approvazione, in Ungheria, di un emendamento costituzionale che limita la visibilità delle persone LGBTQ+, segnano un passo indietro sul piano dei diritti umani. Secondo Carnegie Europe, la prossima legislatura dell’UE potrebbe essere dominata da forze che mettono in discussione libertà fondamentali come quella di stampa, l’accoglienza e l’autodeterminazione individuale.

C’è, in tutto ciò, una crescente distanza tra le parole e le pratiche. Mentre si continuano a celebrare i valori della democrazia, si assiste – spesso in silenzio – a un loro progressivo svuotamento: il diritto a manifestare si restringe, l’informazione si piega, le differenze si marginalizzano.

È in momenti come questo che occorre ribadire con forza che la libertà non è un bene acquisito una volta per tutte. È una costruzione fragile, che richiede attenzione, consapevolezza e impegno. Non basta invocarla: bisogna esercitarla, difenderla e, quando serve, rivendicarla.

Se chi dissente viene delegittimato, chi racconta viene ostacolato, chi manifesta viene scoraggiato, allora è lecito chiedersi che idea di società stiamo coltivando.

La libertà non è un’eredità. È una responsabilità collettiva. E come ogni responsabilità, chiama in causa ciascuna e ciascuno di noi.
Come ci ricordava Piero Calamandrei:
“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.”

  • Denise Zucchini

    Psicologa perfezionata nel corso "Orientamento e career counseling per l'inclusione, la sostenibilità e la giustizia sociale" e dottoranda nel corso "Human rights, Society and Multi-level governance" del Centro Diritti Umani dell'Università di Padova. Dal 2022 collabora con il Laboratorio Larios (Laboratorio di Ricerca e Intervento per l'Orientamento alle Scelte) dell'Università di Padova in attività di ricerca inerenti i temi dell'inclusione, della sostenibilità e della giustizia sociale, nonché in attività di prevenzione e promozione sull'orientamento professionale. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente l'analisi dei processi di marginalizzazione ed esclusione sociale, l'analisi delle dinamiche che favoriscono il lavoro dignitoso e il rispetto dei diritti umani, la promozione di idee e atteggiamenti pacifici, e lo sviluppo di ambienti volti all'inclusione, alla sostenibilità e alla giustizia sociale, con particolare attenzione alle traiettorie delle persone con vulnerabilità.

Immagine realistica generata dall'IA di un gruppo di persone manifestanti, di età, etnie, culture, genere e orientamento sessuale diversi. Le persone in prima fila stringono uno striscione con scritto "Perdere il diritto di essere diversi è perdere il diritto di essere liberi" e sullo sfondo si legge un altro cartello con la scritta "Right to be who we are".
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