La Cura del Vero

Il valore della disconnessione

Il tema è di quelli decisamente divisivi, di quelli che attecchiscono facilmente nella grande arena dei social generando un uragano di commenti, una valanga di like e di improperi. Un tema che radicalizza la scelta di campo facendo della rete, al tempo stesso, oggetto e terreno di gioco della partita, lo stadio nel quale gli spettatori non stanno più soltanto sugli spalti, limitandosi a incitare e fare il tifo per i contendenti, ma sono, a tratti, loro stessi giocatori, salvo diventare anche commentatori della loro prestazione immortalata da un immancabile selfie…

Sulla proposta di vietare l’utilizzo dei telefonini (o comunque limitarne in maniera considerevole l’uso), e di aprire propri profili social, a bambini e ragazzi al di sotto di una data soglia di età – tra proposte e petizioni che si sono succedute l’asticella generalmente oscilla tra i 3 e i 16 anni con evidenti differenti livelli in relazione alla perentorietà dell’ipotizzato divieto – il dibattito assume a volte toni arroventati.

E’ evidente come non sia ragionevolmente percorribile una strada che configuri una soluzione unica che possa andare bene per una fascia di età di fruitori della connettività così ampia e, soprattutto eterogenea. Un divieto risulta più agevolmente applicabile (ma anche qui sino ad un certo punto…) su un bambino di 4 o 5 anni, assai meno nei confronti di un ragazzo di 12-13 anni e rasenta quasi l’impossibilità se si parla di un adolescente di 16 anni. Bambini, ragazzi e adolescenti che, non va mai dimenticato, sono dei nativi digitali, che sin da quando hanno aperto gli occhi su questo mondo lo hanno già… trovato con i suoi  oltre otto miliardi di abitanti in (potenziale) costante connessione tra di loro, con in“vecchi” confini geografici (almeno concettualmente) superati da una contemporaneità digitale che li ha quasi ridefiniti sino a cancellarli.  Un mondo nel quale per fare un acquisto di un qualsiasi bene in un negozio del Canada o del Sudafrica non occorre fisicamente muoversi dal divano di casa, così come la scelta di cosa vedere in tv non è affidata a rigidi palinsesti proposti da altri ma segue la naturale inclinazione personale potendo spaziare tra una molteplicità di canali tematici e piattaforme.

Tutte opportunità mediate da apparecchi e infrastrutture digitali che fanno concretamente parte di questa nostra quotidianità adesso declinata all’insegna dell’iperconnessione.

Il nodo da sciogliere, dunque, potrebbe essere un altro: possiamo pensare di dare oggi adeguato valore alla disconnessione? Possiamo immaginare che in quel fenomeno codificato come nomofobia (acronimo di “NO Mobile Phone PhoBIA”), e cioè quella dipendenza da rete e smartphone che porta a una particolare condizione psicologica che può svilupparsi per il timore di rimanere sconnessi, ci sia da cavare fuori qualcosa di rilevante da un punto di vista valoriale? Possiamo pensare di costruire una nuova quotidianità nella quale la connessione costante – della quale non si possono tacere indubbi profili di utilità – non sia considerata una sorta di tributo necessario che paghiamo al progresso,  qualcosa di naturalmente inevitabile, ma sia semmai una libera (e consapevole) scelta e non una condizione obbligata?

Un’elementare considerazione può aiutarci a percorrere questo sentiero: limitare la nostra connessione a determinati momenti di una giornata consentirebbe di ritagliare tempo da investire in tutta una serie di altre attività al momento magari poste ai margini. Tanto semplice a dirsi quanto complicato a farsi visto che la mano e l’occhio corre, in maniera quasi compulsiva, verso i pochi pollici dello schermo del nostro smartphone anche quando siamo a tavola, stiamo conversando in famiglia o con gli amici, o siamo davanti alla tv.

Dunque, se conveniamo (a parole) sul fatto che dovremmo un po’ tutti praticare quel digital detox al quale sono dedicati saggi, articoli e approfondimenti a profusione, ben altro è come riuscire a farlo concretamente. Il divieto – totale o attenuato – dell’utilizzo di questi strumenti digitali in determinate fasce di età e a determinate condizioni potrebbe essere una valida soluzione?

Questa tesi, da ultimo, sembra aver trovato dimora all’Assemblea Regionale Siciliana dove sta per arrivare in Aula un Disegno di legge voto (approderà successivamente al Parlamento nazionale, come prevede lo Statuto della Regione Siciliana), promosso dal Movimento 5 Stelle, che fa leva proprio sul divieto assoluto di uso degli smartphone per i bambini sino a 3 anni (che potrebbero diventare 6 per via di un emendamento già annunciato).

Leggendo il preambolo del Disegno di legge in questione si evidenzia che “la dipendenza da smartphone,  produce tra l’altro ansia, perdita della concentrazione, riduzione della capacità di apprendimento, ritardi  nello sviluppo  del linguaggio, disturbi del sonno, alterazioni dell’umore    sino    ad    episodi    di    aggressività ingiustificata, minori relazioni sociali con i  coetanei. Questi sono  solo alcuni degli effetti  provocati  sullo sviluppo psichico del bambino, a cui poi si aggiungono  i problemi  fisici  di salute primi tra  tutti  i  problemi posturali   legati   all’eccessivo   utilizzo   di   tali dispositivi nonché tremori, tachicardia, paura”.

Considerato che questo Disegno di legge mira ad approntare utili tutele per proteggere la salute e l’armonia dello sviluppo dei bambini, il divieto previsto appare sostanzialmente rivolto agli adulti, a cominciare dai genitori che talvolta utilizzano tablet e smartphone come babysitter digitali per ritagliarsi qualche momento di … tranquillità familiare. Ma a quale prezzo?

Ecco perché occorre investire su formazione e sensibilizzazione, serve moltiplicare le occasioni di confronto e costruire nuovi e più vivibili modelli di quotidianità che riaffermino il primato del pensiero critico sulla spasmodica ricerca dei like.

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