La Cura del Vero

Deportazioni a stelle e strisce. Storie di rimpatri, allontanamenti, espulsioni

Tra i tanti temi evocati da Donald Trump durante la sua campagna elettorale e oggi sbandierati dalla Casa Bianca, quello della “deportazione di massa” è uno dei più urticanti.

Si sa: quando s’incontra la parola “deportazione”, subito si corre col pensiero alla pulizia etnica dei turchi contro gli armeni, ai treni piombati della Shoah, alle deportazioni staliniane. È, insomma, un termine che fa legittimamente paura.

Tuttavia – almeno per quanto riguarda gli USA – è necessario storicizzare il problema, altrimenti le minacce di Trump rischiano di sembrare soltanto degli slogan, fuorviando qualsiasi analisi politica o sociologica.

Innanzi tutto un fatto: gli Stati Uniti hanno sempre deportato le persone residenti nel loro territorio, quando lo hanno ritenuto necessario. Fin dagli inizi della loro storia indipendente, le autorità di Washington hanno costantemente messo in atto politiche di espulsione e rimpatrio forzato degli “stranieri”.

Contro i cinesi
Dopo alcune controverse leggi della fine del Settecento, quando la Federazione era ancora “fresca d’indipendenza”, nel 1882 il Chinese Exclusion Act fu il primo provvedimento legislativo volto a colpire un gruppo etnico specifico. Se sprovvisti di un certificato di residenza, i cittadini cinesi potevano essere immediatamente espulsi. Durò più di un decennio.

Contro i socialisti
Nel Novecento, dopo la Grande Guerra e il successo della Rivoluzione bolscevica, le organizzazioni operaie e sindacali acquistarono anche negli USA autorevolezza e seguito popolare. Fu così che nella patria del capitalismo si diffuse una grande paura delle idee socialiste, comuniste, anarchiche. Tanto grande e generalizzato fu quel sentimento da provocare, tra il 1919 e il 1920, una reazione istituzionale.

La storiografia li ha chiamati “Palmer Raids”, dal nome del Procuratore Generale A. Mitchell Palmer, che li guidò. Si era sotto l’amministrazione del Presidente Woodrow Wilson e vennero arrestate seimila persone, sospettate – pensate un po’ – di simpatizzare per l’ideale “rosso”. Fu così che 556 cittadini stranieri, in buona parte anarchici e socialisti italiani, furono espulsi per motivi politici.

Contro i messicani
Venne poi la Grande depressione, la crisi economica e sociale innescata dal crollo di Wall Street dell’ottobre 1929. Fu in quegli anni che le autorità USA espulsero più di un milione di “messicani”: metà di loro aveva la cittadinanza statunitense e solo lontane origini latine, moltissimi i bambini. Lo attestò nel 1980 la “U.S. Commission on Civil Rights” (https://deepblue.lib.umich.edu/bitstream/handle/2027.42/102163/imre12054.pdf), emanazione del Congresso.

Terrorismo
Nel 1996, presidente Bill Clinton, fu approvato lo “Antiterrorism and Effective Death Penalty Act” (https://www.govinfo.gov/content/pkg/PLAW-104publ132/pdf/PLAW-104publ132.pdf), che non solo ampliò l’elenco dei crimini punibili con l’espulsione degli immigrati clandestini, ma concesse al governo degli Stati Uniti il potere di espellere i residenti permanenti condannati per crimini aggravati dall’accusa di terrorismo.

Da allora, poggiando su queste basi, le politiche USA in tema d’immigrazione si sono fatte via via sempre più restrittive. I dati ufficiali (https://ohss.dhs.gov/topics/immigration/yearbook/2019/table39) parlano chiaro: se tra 1980 e 1996 il numero totale delle espulsioni fu di 536mila persone (una media di 31mila l’anno), tra il 1997 e il 2016 (l’anno della prima elezione di Trump) il totale sfiora i 6 milioni (una media di 286mila espulsioni l’anno).

Paradossi?
Tutti questi numeri e ragionamenti celano una sorpresa imprevedibile: il “campione” di questo strano sport è stato il Premio Nobel per la pace Barack Obama (https://abcnews.go.com/Politics/obamas-deportation-policy-numbers/story?id=41715661), l’uomo che, seduto nello studio ovale, ha autorizzato il maggior numero di espulsioni dagli USA: due milioni e mezzo tra il 2009 e il 2015.

Operazione verità
Insomma: i toni di Donald Trump risultano offensivi per molte persone, abituate a un diverso understatement, a un altro stile, a un’altra retorica. Le idee del presidente sembrano cozzare con la stessa speranza in una convivenza civile e pacifica tra popoli e nazioni. Le sue prime decisioni gettano un’ombra sulla democrazia statunitense. Ma forse hanno un merito imprevedibile: stracciano il velo di Maya sulla realtà dei nostri storici alleati atlantici e ci indicano una verità indicibile sul mito americano.

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