Zohran Mamdani è il nuovo sindaco di New York. Trentaquattro anni, nato in Uganda da genitori nati in India. Professa la fede islamica e parla fluentemente l’inglese, lo spagnolo, il bengalese, l’arabo e l’urdu: qualità che ha saputo sfruttare per dar vita a forme di propaganda elettorale di straordinario successo, non solo nei social network, ma soprattutto per le strade della metropoli più multietnica del pianeta.

Si presentò agli elettori poco più di un anno fa da outsider, avviando una campagna capillare fondata sul sostegno economico di moltissimi piccoli donatori e di volontari che, in queste ultime settimane, hanno raggiunto il numero di centomila persone. Nella metropoli dei miliardari, ha vinto con un programma schiettamente progressista: trasporti pubblici gratuiti, blocco degli affitti e un vasto piano di costruzione di case popolari, sostegno universale alla maternità e all’infanzia e persino l’apertura di negozi pubblici di alimentari per combattere l’impennata dei prezzi.
Contro l’estabilishment democratico
Lo scorso 24 Giugno aveva vinto le primarie di partito contro il super-candidato dell’estabilishment democratico Andrew Cuomo, il sessantottenne, ex procuratore generale e governatore dello Stato di New York, nonché ministro con Bill Clinton alla Casa Bianca. Un rivale temibile, sostenuto dall’élite cittadina e forte persino dell’appoggio esplicito di Donald Trump. Un sostegno espresso con i soliti toni violenti e ricattatori, che però non è bastato al vecchio navigante della politica newyorkese per vincere la sfida. Al contrario, ha reso ancora più palese la contiguità tra l’autocrate col ciuffo e il sistema di potere che da anni finge di avversarlo.
Sia chiaro: Zohran Mamdani non è affatto un “campione del proletariato”. È figlio di due ex studenti di Harvard: il padre è Mahmood Mamdani, nato in India e cresciuto in Uganda, professore della Columbia University. La madre è Mira Nair, indiana di nascita, celebre e pluripremiata regista, sceneggiatrice e produttrice cinematografica.
Una nuova classe dirigente
Non appartiene alle classi meno abbienti, dunque, ma è stato comunque capace di rovesciare la retorica del thatcheriano “there is no alternative”. Non viene dalla working class, ma di essa ha saputo interpretare i sentimenti, ha scelto di rispondere alle aspettative dei lavoratori della Grande Mela, ai quali «Fin da quando abbiamo memoria, i ricchi e i benestanti hanno sempre detto che il potere non appartiene a loro». Parole testuali del neosindaco che sembra avere molto da insegnare anche a tutta quella classe politica che, in Italia e in Europa, si spaccia per progressista ma poi si maschera dietro gli equilibrismi farisaici della “governabilità” e del più fallimentare pensiero liberale.
Le parole, si dice spesso, sono importanti. E quelle scelte da Mamdani per il suo discorso di ringraziamento non avrebbero potuto essere più esplicite, anche purgate dalla comprensibile enfasi retorica che in certe occasioni sembra inevitabile ma che fa venire le lacrime agli occhi per la chiarezza e la concretezza che riesce comunque a trasmettere.
Le mani dei lavoratori
«Dita ammaccate per aver sollevato le scatole in un magazzino, palmi callosi per aver guidato la bicicletta delle consegne, nocche ustionate in cucina: queste non sono mani a cui è stato concesso di detenere il potere. Eppure, negli ultimi 12 mesi, avete osato raggiungere qualcosa di più grande. Stasera, contro ogni previsione, ce l’abbiamo fatta. Il futuro è nelle nostre mani. Amici miei, abbiamo rovesciato una dinastia politica».
Le mani dei lavoratori evocate da Mamdani ricordano quella che i greci dell’antichità chiamavano “echecheiria“, la pausa olimpica che sospendeva tutte le guerre in corso, un “mani in alto” inteso non come una minaccia, ma come un’astensione dal conflitto brutale, uno iato concesso ai corpi, alle coscienze, al respiro. Un bel pensiero, per un uomo nato nel 1991, l’anno della Prima Guerra del Golfo, scatenata da George Bush sr. contro l’Iraq. Un pensiero che però Mamdani non potrà permettersi di cullare troppo a lungo. È legittimo: i suoi avversari, così come tutti quelli che lo hanno votato, attendono che i sogni che ha evocato e i progetti che ha annunciato si traducano in realtà.
In attesa di giudicare le scelte e le azioni politiche del nuovo, giovanissimo sindaco, oggi ci limitiamo a registrare la gioia che la sua elezione suscita in chi vorrebbe un mondo più giusto, molto diverso da quello attuale, e la rabbia di chi affibbia a Mamdani l’etichetta del pericoloso “comunista” (sono parole di Trump) e non sa cogliere il potere liberatorio della sua affermazione.
Siamo onesti: è logico che metta paura a molti. Forse è persino giusto che susciti timore. Guidare la città-simbolo della multiculturalità planetaria non è una responsabilità di carattere solo politico né, tantomeno, meramente gestionale. C’è il rischio che, se riuscirà nell’impresa, Zohran Mamdani indichi al mondo una via percorribile, effettivamente praticabile, che diventa sempre più sicura con la crescita, in coscienza e consistenza, di chi la condivide e sceglie di percorrerla insieme a tutti gli altri.
Eredità
Sta qui, forse, il senso della citazione che il newyorkese, musulmano, africano, indiano Mamdani ha scelto per aprire il suo discorso: “Vedo l’alba di un giorno migliore per l’umanità”. Parole di Eugene Debs, un socialista, pacifista, sindacalista che si candidò per cinque volte alla presidenza degli Stati Uniti senza mai vincere. E che morì di tubercolosi in un sanatorio, dopo anni trascorsi in carcere per il suo attivismo.
A proposito: Debs era nato il 5 novembre del 1855, c’è qualcosa di commovente nel ricordarlo proprio oggi.
Ad maiora.
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Stefano Lamorgese (Roma, 1966) è un giornalista di formazione umanistica. Alla Rai dal 1990, ha lavorato per TG3, Rai International, Rai2 e Rainews24. Dal 2017 fa parte della redazione di Report/Rai3. Ha insegnato linguaggi multimediali e cultura digitale presso le università di Urbino, Ferrara e Perugia. È Vicepresidente dell'Associazione Amici di Roberto Morrione, che promuove dal 2011 il Premio giornalistico omonimo, dedicato agli Under30. Storico per passione, ha pubblicato con NewtonCompton "I signori di Roma" (2015).