A cura di Mariagrazia Cotugno, Roberta Majuri, Maria Zallo
In un’Italia attraversata da tensioni sociali, crisi ambientali e un crescente ritorno di retoriche identitarie, la scuola torna prepotentemente al centro del dibattito pubblico. A innescare la discussione è stata la bozza delle nuove Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo, pubblicata l’11 marzo 2025 dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Un documento di oltre 150 pagine che ha suscitato una reazione forte e diffusa da parte della comunità scolastica, tra docenti, dirigenti, pedagogisti e organizzazioni educative.
Le critiche non si sono limitate ai contenuti: anche il metodo adottato per la consultazione è stato ampiamente contestato. A differenza del processo partecipativo e aperto che aveva accompagnato la stesura delle Indicazioni del 2012 (poi aggiornate nel 2018), questa volta le scuole sono state invitate a esprimersi in tempi ristretti attraverso un questionario online ritenuto da molti inefficace e scarsamente trasparente.
Sul piano dei contenuti, il documento propone una visione di scuola fortemente improntata alla trasmissione verticale del sapere, in cui lo studente rischia di essere ridotto a un destinatario passivo, privo di storia, contesto e voce. L’idea di valorizzazione dei talenti individuali sembra scollegata da qualunque principio di equità, mentre temi fondamentali come l’intercultura, l’educazione alla cittadinanza globale, la partecipazione e la sostenibilità ambientale risultano fortemente marginalizzati.
In questo quadro, la cultura viene proposta come un corpo monolitico e nazionale, centrata su un’idea di “Occidente” come custode unico del sapere. È una visione che lascia poco spazio alla pluralità delle culture, alla dimensione planetaria dell’educazione e all’apertura al dialogo. Le discipline riflettono questa impostazione: l’Italiano viene ridotto a esercizio tecnico, la matematica a strumento di verifica e classificazione, la musica a repertorio classico nazionale. La storia privilegia una narrazione identitaria e celebrativa, lasciando in ombra il confronto critico con le fonti e la pluralità dei punti di vista.
Alcuni passaggi hanno sollevato particolare indignazione, come quelli in cui si definiscono bambini e adolescenti con background familiari fragili come “piccoli tiranni” o soggetti a rischio devianza, semplificazioni che tradiscono la complessità educativa e sociale che la scuola si trova quotidianamente ad affrontare.
La reazione del mondo scolastico è stata immediata e corale. Il Tavolo Interassociativo per una scuola democratica, che riunisce più di venti organizzazioni tra cui FLC CGIL, FIT CIMEA, ActionAid, MCE, Legambiente Scuola e Formazione, CIDI, CVE, GISCEL e altre realtà impegnate nell’educazione e nella cittadinanza attiva, ha promosso una serie di azioni di protesta. Tra queste: una conferenza alla Camera, una lettera aperta al Presidente della Repubblica e numerosi documenti critici da parte di collegi docenti, come quello dell’Istituto Comprensivo Simonetta Salacone di Roma.
L’analisi condivisa parla di una “pericolosa involuzione della cultura democratica della scuola”, in cui valori costituzionali come l’autonomia scolastica, la libertà di insegnamento e la centralità della persona che apprende rischiano di essere messi in secondo piano da una visione ideologica, accentratrice e univoca della funzione educativa.
In questo contesto, si inserisce la grande manifestazione diffusa che si svolgerà in tutta Italia il 18 ottobre 2025, dal titolo “Una data, una voce, mille reti per la scuola democratica”. Sarà una giornata di mobilitazione collettiva, promossa da tutte le sigle del Tavolo, durante la quale centinaia di scuole, associazioni, enti del terzo settore e gruppi di cittadinanza attiva organizzeranno eventi, assemblee, letture pubbliche, laboratori, incontri e momenti di riflessione, per ribadire con forza che la scuola deve restare un presidio di democrazia, libertà e pluralismo.
In un momento storico segnato da guerre e tensioni internazionali, come il protrarsi del conflitto israelo-palestinese e il diffondersi di nuove forme di censura e disinformazione, la scuola ha un ruolo decisivo nella costruzione di pace, giustizia e consapevolezza. La posta in gioco non è solo educativa, ma profondamente politica e sociale: una scuola che rinuncia alla complessità è una scuola che rinuncia al futuro.
Come recita il titolo di una recente lettera indirizzata ai genitori: “Per una scuola grande come il mondo”. Una scuola che non alza muri ma costruisce ponti, che educa al pensiero critico, alla convivenza, alla responsabilità verso gli altri e verso il pianeta. Una scuola che appartiene a tutte e a tutti. E che, proprio per questo, deve essere difesa e rilanciata ogni giorno.
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