La Cura del Vero

Sanremo, la disabilità non è uno spettacolo

La recente esibizione del Teatro Patologico al Festival di Sanremo 2025 ha riacceso il dibattito sulla rappresentazione della disabilità nei media. Il modo in cui Carlo Conti ha presentato la compagnia teatrale ha suscitato critiche per il suo tono considerato abilista e per l’uso di una narrazione che rientra nel concetto di inspiration porn, o pornografia motivazionale. Il termine, coniato dall’attivista Stella Young nel 2012, descrive la tendenza dei media a rappresentare le persone con disabilità come strumenti di ispirazione per chi non ha una disabilità, invece di valorizzarle come individui con una propria complessità e identità. Questa retorica, spesso inconsapevole, perpetua stereotipi dannosi e ostacola una reale inclusione.

Uno degli aspetti più problematici nella narrazione pubblica della disabilità è l’uso di un linguaggio medico ormai superato. Espressioni come “soffre di disabilità” implicano che la condizione di disabilità sia solo una fonte di dolore o sofferenza intrinseca, ignorando il modello biopsicosociale della disabilità. Questo modello, adottato dall’OMS, evidenzia come il funzionamento di una persona sia determinato non solo da caratteristiche individuali, ma anche da fattori sociali e ambientali. Le barriere architettoniche, la discriminazione, la mancanza di accessibilità e l’inclusione limitata aggravano le difficoltà vissute dalle persone con disabilità, più della condizione in sé. È quindi essenziale che i media, i giornalisti e chiunque abbia un ruolo pubblico adottino un linguaggio rispettoso e aggiornato, che non perpetui una visione pietistica o medicalizzante della disabilità.

Un’altra criticità rilevante riguarda la modalità con cui il Teatro Patologico è stato presentato durante la serata. La compagnia è stata descritta come un esempio di “teatroterapia”, riducendo così il valore artistico e professionale del loro lavoro a una funzione terapeutica per le persone con disabilità. Questo equivoco non è nuovo e si inserisce in una narrazione in cui qualsiasi attività artistica o sportiva praticata da persone con disabilità viene automaticamente etichettata come un intervento riabilitativo, invece che essere riconosciuta per il suo valore culturale e professionale. Se una persona senza disabilità pratica teatro, non viene definito teatroterapia, quindi perché questa distinzione viene fatta quando si tratta di persone con disabilità? Definire come terapia attività artistiche e sportive per le persone con disabilità perpetua un’idea patologizzante. La disabilità non è una malattia da curare, e chi la vive non deve essere costantemente visto come un paziente in trattamento. Questa retorica non fa altro che rafforzare la visione secondo cui le persone con disabilità hanno sempre bisogno di essere aggiustate o riabilitate, anziché di essere semplicemente incluse nella società in maniera paritaria.

Il Festival di Sanremo è uno degli eventi mediatici più seguiti in Italia, e la sua influenza sulla cultura popolare è enorme. L’opportunità di dare spazio al Teatro Patologico era un’occasione per promuovere un messaggio di inclusione e di valorizzazione dell’arte come mezzo di espressione e partecipazione per tutti e tutte. Tuttavia, la scelta narrativa adottata ha riproposto stereotipi ormai obsoleti e dannosi. Non è più accettabile che nel 2025 i media e i conduttori non abbiano ancora sviluppato una sensibilità adeguata su questi temi. Le persone con disabilità non sono eroi straordinari solo per il fatto di esistere e non hanno bisogno di essere glorificate per il semplice fatto di partecipare ad attività artistiche o sportive. Questo tipo di narrazione pietistica abilista, oltre a essere dannosa, impedisce un vero cambiamento culturale e il riconoscimento della piena autodeterminazione delle persone con disabilità.

Per migliorare la rappresentazione della disabilità nei media, è necessario evitare il linguaggio medicalizzante e pietistico, adottando una terminologia rispettosa e basata sul modello biopsicosociale; abbandonare il concetto di pornografia motivazionale, smettendo di trasformare le persone con disabilità in strumenti di ispirazione; evitare di rifarsi a modelli medici obsoleti che si rispecchiano attraverso l’uso coretto di termini quali “terapia”, riservandolo a trattamenti sanitari condotti da professionisti e professioniste del settore medico; formare giornalisti/e, autori/autrici e conduttori/conduttrici, affinché possano trattare la disabilità in modo consapevole e rispettoso in linea con i modelli teorici contemporanei, mettendo al centro le persone e non le disabilità. Sanremo 2025 avrebbe potuto essere un esempio virtuoso di inclusione consapevole. Invece, si è trasformato nell’ennesima dimostrazione di quanto ancora ci sia da fare per cambiare la narrazione sulla disabilità nel panorama mediatico italiano.

Per parlare di disabilità, così come di sport, politica, caccia e pesca, ci vogliono le competenze! Ancora una volta, in prima serata, abbiamo assistito alla solita narrazione tossica della disabilità: ospiti con disabilità accolti come “ragazzi”, trattati con paternalismo e ridotti a simboli di ispirazione per il pubblico “normotipico”, assecondando una forma di pietismo abilista. Un copione stanco e offensivo, che non parla di diritti, di autodeterminazione, di sfide e opportunità, ma solo di quanto siano “speciali”, “coraggiosi”, “guerrieri”. Questa narrazione della finta accoglienza serve solo a far sentire buoni i privilegiati di turno. Le persone con disabilità non sono eroi o eroine da celebrare né cuccioli/e da proteggere: sono cittadini e cittadine che hanno diritto a una rappresentazione rispettosa e dignitosa. Quella che è andata in onda in queste serate NON è inclusione, è spettacolarizzazione. È il solito sguardo dall’alto in basso che infantilizza e riduce le persone con disabilità a comparse di una storia scritta da chi, evidentemente, non ha mai ascoltato davvero la voce delle persone.

  • Sara Santilli

    Psicologa-psicoterapeuta perfezionata in Psicologia dell'orientamento alle scelte scolastico-professionali e ricercatrice presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'Università di Padova. Docente di "Psicologia dell'inclusione e della sostenibilità sociale" e di "Career Counselling e orientamento professionale in contesto multiculturale". Dal 2009 collabora con il Laboratorio La.R.I.O.S. all'organizzazione e all'attuazione di progetti di orientamento, e alla realizzazione di ricerche relative al tema delle vulnerabilità, dell'orientamento e dell'inclusione lavorativa. È membro del comitato direttivo del Laboratorio La.R.I.O.S., vicepresidente della Società Italiana di Orientamento (SIO) ed è membro dell'Advisory Board dell'International Journal for Educational and Vocational Guidance. Attualmente è coordinatrice del progetto europeo Equi-T (sistema europeo di sviluppo della qualità per l'educazione inclusiva e la formazione degli insegnanti).

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