BUCAREST, 19 maggio 2025 – Al di là dei risultati delle elezioni, il sentimento che si respira per le strade di Bucarest è quello di una nazione profondamente divisa. Una persona del posto l’ha definita con amarezza “un paese prostituta”, venduto per anni, in bilico tra sogni europei e cicatrici del passato.
Da un lato c’è una Romania che guarda a Bruxelles, si immagina moderna, libera, integrata. Ma poi arriva il confronto con una realtà ancora fragile, dove si paga ovunque in leu, la moneta nazionale, e l’accesso ai servizi essenziali è segnato da profonde disuguaglianze e disillusione.
Dall’altro lato, si rigetta il comunismo come una pagina oscura, ma c’è chi ne ricorda anche un volto “protettivo”. Un tassista dell’aeroporto racconta: “Con Ceaușescu la disoccupazione non esisteva. Ti prendevano dalla strada e ti davano un lavoro. Tutti avevano una casa. Ora, chi non lavora non ha nulla. E alla fine, l’unica casa è il carcere.”
La dittatura è finita, ma le sue ombre restano. La Romania di oggi porta ancora il segno della Securitate, la temuta polizia segreta del regime. Alcuni cittadini mi hanno raccontato che i figli di ex ufficiali e collaboratori del potere comunista si sono spesso riciclati: hanno studiato nelle migliori università europee, hanno vissuto a Londra, Parigi, Berlino. Poi sono tornati per occupare posizioni dirigenziali nei settori chiave del paese: economia, banche, pubblica amministrazione. Tecnocratici competenti, sì, ma spesso scollegati dal vissuto reale della popolazione. Una nuova élite nata dall’ombra della precedente.
Questa percezione di continuità tra vecchie e nuove élite alimenta un senso di sfiducia nelle istituzioni, poiché molti ritengono che il potere sia rimasto concentrato nelle mani di pochi, nonostante i cambiamenti politici. Questi racconti, che non ho potuto verificare direttamente, riflettono però un sentimento diffuso di disillusione verso il processo di costruzione democratica — che per alcuni è ancora solo una pagina bianca, promessa ma mai scritta.
È proprio questa tensione tra promessa di cambiamento e permanenza delle strutture a costituire il cuore simbolico della mostra The TWIST. Failing Empires, Triumphant Provinces, allestita al Museo Nazionale di Arte Contemporanea. L’esposizione, combinando archeologia, arti applicate, oggetti d’uso quotidiano e arte contemporanea, racconta una Romania come provincia resiliente, terra di intersezione culturale e metamorfosi continua.
L’idea di “provincialità”, qui, non è inferiore ma nobile: è capacità di assorbire, trasformare e reinventarsi, anche sotto il peso delle eredità imperiali, delle torsioni storiche, dei cicli politici incompiuti.
Eppure, nonostante le tensioni, il paese ha dato prova di una forte partecipazione civica: il 18 maggio 2025, al ballottaggio delle elezioni presidenziali, l’affluenza è stata del 64,72 per cento, la migliore degli ultimi trent’anni, dalle prime elezioni dopo la caduta del regime comunista. Un segnale chiaro della posta in gioco — e del desiderio di molti romeni di non restare spettatori, ma protagonisti della scrittura di quella pagina ancora vuota.
Nicușor Dan, sindaco di Bucarest e candidato indipendente europeista, ha ottenuto 6.168.642 voti, pari al 53,60%, superando l’ultranazionalista George Simion, che ha raccolto 5.339.053 voti (46,40%). Dan ha basato la sua campagna sulla lotta alla corruzione, il rafforzamento dei legami con l’Unione Europea e la NATO, e il sostegno all’Ucraina nella guerra contro la Russia. È stato percepito come un volto pulito, tecnico, filo-occidentale.
Ma non tutti accoglieranno questa vittoria con entusiasmo. Basti ricordare quanto avvenuto nel periodo precedente alle elezioni: il 1° marzo 2025, decine di migliaia di persone hanno manifestato a sostegno di Călin Georgescu, ex candidato presidenziale ed esponente nazionalista dell’Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR). La manifestazione, organizzata in piazza dell’Università a Bucarest, è stata una risposta all’annullamento della sua candidatura da parte delle autorità, motivate da presunte interferenze russe e da accuse gravi tra cui incitamento alla sovversione dell’ordine costituzionale e fondazione di un’organizzazione antisemita. Georgescu, arrestato pochi giorni prima mentre si recava a depositare la candidatura, ha partecipato alla protesta accompagnato dalla moglie, diventando per molti il simbolo di una Romania che rifiuta le élite europeiste e le influenze transnazionali. I manifestanti hanno chiesto nuove elezioni e hanno accusato l’Unione Europea e la NATO di voler manipolare la sovranità nazionale romena. “Siamo qui perché il nostro voto è stato rubato. Perché la democrazia è stata calpestata”, ha dichiarato George Simion, leader dell’AUR.
Parallelamente, nella Giornata dell’Europa, migliaia di cittadini sono scesi in piazza in diverse città del paese per sostenere l’Unione Europea e difendere il percorso europeista della Romania. A Bucarest circa 15.000 persone hanno sventolato bandiere UE e romene, gridando slogan come “Russia, non dimenticare che la Romania non è tua”.
Questa mattina però la vittoria di Dan è stata salutata con favore da molti leader internazionali, tra cui Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen, che l’hanno vista come una garanzia di stabilità e continuità nel processo di integrazione europea.
Ma guardando Bucarest oggi, tra palazzi in rovina e insegne globali, tra nostalgie e slanci, si ha l’impressione che il paese sia ancora immerso in un twist permanente: un movimento spirale tra identità, appartenenza e desiderio di trasformazione. Questo stesso movimento coinvolge anche il fragile, ma vitale, processo democratico rumeno, che continua a confrontarsi con tensioni profonde tra apertura e conservazione, trasparenza e potere opaco, cittadinanza attiva e delusione civile. Un movimento spirale tra identità, appartenenza e desiderio di trasformazione.
Come nella caverna di Platone, la Romania si sta voltando verso la luce, ma porta ancora le ombre sulle spalle. Il suo cammino è una torsione continua tra ciò che è stata e ciò che vuole diventare. In questo quadro, la democrazia non è ancora una struttura pienamente consolidata, ma piuttosto un processo vivo, in lotta tra slanci sinceri e forze che tendono a richiuderlo in logiche verticali. E ogni passo, ogni voto, ogni protesta, è parte di quel movimento dell’anima che — proprio come il twist — non è mai lineare, ma carico di ritmo, resistenza e svolte impreviste.

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Psicologa-psicoterapeuta perfezionata in Psicologia dell'orientamento alle scelte scolastico-professionali e ricercatrice presso il Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata dell'Università di Padova. Docente di "Psicologia dell'inclusione e della sostenibilità sociale" e di "Career Counselling e orientamento professionale in contesto multiculturale". Dal 2009 collabora con il Laboratorio La.R.I.O.S. all'organizzazione e all'attuazione di progetti di orientamento, e alla realizzazione di ricerche relative al tema delle vulnerabilità, dell'orientamento e dell'inclusione lavorativa. È membro del comitato direttivo del Laboratorio La.R.I.O.S., vicepresidente della Società Italiana di Orientamento (SIO) ed è membro dell'Advisory Board dell'International Journal for Educational and Vocational Guidance. Attualmente è coordinatrice del progetto europeo Equi-T (sistema europeo di sviluppo della qualità per l'educazione inclusiva e la formazione degli insegnanti).