di Francesco Lo Piccolo, direttore di Voci di dentro
Siamo alla fine del 2024 e il numero delle persone che si sono suicidate in carcere è arrivato a un terribile record: 88. Di questi, sette avevano meno di 20 anni e venti erano sotto i 30. Cinque di loro sono morti in cella di isolamento. E a tutti questi vanno aggiunti i tanti deceduti con la formula tipo: cause da accertare e altre cause. Nel totale quest’anno nei 200 istituti di pena sparsi in Italia le persone morte sono 243.
Persone non numeri. Ecco alcune storie
Amir Dhouiou, 21 anni, era arrivato in Italia dalla Tunisia. Chissà che cosa cercava… quello che cercano tutti in fondo. Sua madre aveva inviato all’avvocato Lina Armonia referti e cartelle mediche sullo stato della sua salute: voleva sottoporlo a perizia psichiatrica e mandarlo in una Rems. Non ha fatto in tempo: Amir Dhouiou, detenuto per furto e resistenza al Marassi di Genova – reparto di assistenza intensificata – si è impiccato con un lenzuolo nel gabinetto della sua cella. Era il 4 dicembre.
Ivano, 63 anni sarebbe uscito a metà 2025 per reati legati allo spaccio. Soffriva di gravi patologie psichiatriche, era tossicodipendente, affetto da epatite C e, dopo alcune operazioni all’anca, si muoveva su una sedia rotelle. In cella a Sollicciano aveva cominciato lo sciopero della fame… per settimane il suo corpo ha resistito, poi è morto all’ospedale di Torregalli. Era il 23 agosto.
Anche Fedi Ben Sassi era arrivato in Italia dalla Tunisia. Era nel 2015, aveva 11 anni. Aveva viaggiato in nave nascosto sotto un camion in cerca di fortuna. Vita non facile, né prima e né dopo, vita di strada, espedienti, furtarelli, spaccio… Era dentro dal 2022 per la rapina di un telefonino. Ma sebbene avesse scontato la sua pena, restava in una cella di Sollicciano per vecchi reati compiuti ancora da minorenne. Non ce l’ha fatta a resistere. Leonardo, volontario dell’associazione Pantagruel ricorda: “Aveva addosso una tuta e gli è stato chiesto se con queste temperature non avesse caldo. Ha risposto “tanto a me cosa importa”. L’hanno trovato impiccato il 4 luglio.
Senza soldi in tasca e con solo un fagotto sulle spalle, Oussama Darkaoui era partito nel 2019 da Mouhammadia, 25 chilometri da Casablanca. Soprannominato Messi perché era bravo a giocare a calcio, ha terminato la sua vita nel Cpr di Potenza, dopo una vita di stenti in Spagna, in Francia, in Germania. Penultima tappa Napoli operaio in nero ai mercati ortofrutticoli. Clandestino. Irregolare. Non aveva nemmeno precedenti penali, eppure è finito nel Cpr, detenuto, e poi trovato morto, uno dei morti le cui cause sono da accertare. Era il 5 agosto.
Sfogliando il dossier di Ristretti “Morire di carcere” che dal 1992 registra i dati, si scopre anche che le persone suicide erano quasi tutti stranieri: tunisini, marocchini, egiziani… e che tra le persone morte per suicidio ci sono anche anziani e persino malati. E se poi guardiamo altri dati si scopre anche questi numeri sono accompagnati da altri spaventosi episodi: tremila tentati suicidi, oltre diecimila atti di autolesionismo (tagli sul corpo, ingerimento di lamette, batterie…).
Rispetto a questi dati a me fa spavento l’indifferenza, la superficialità e l’assenza di vergogna di chi ci governa e di chi sta all’opposizione. Nessuna risorsa, pochi medici, pochi psicologi, celle da terzo mondo… nulla per evitare questo inferno nei duecento istituti di pena. Sì, proprio di pena. O forse di tortura.
Faccio sempre fatica a scrivere suicidi, perché è un termine troppo breve, poche lettere, stanno benissimo in un titolo di giornale, in una colonna, non consumano spazio, soprattutto non occupano il giusto spazio, quello della responsabilità etica della società e delle persone in questa nostra società. E perché solleva dalla responsabilità uno Stato che permette e ignora tutto questo.