La Cura del Vero

Messaggio da Manhattan 

L’hanno preso. Il killer di Brian Thompson, CEO di UnitedHealthcare, si chiama Luigi Mangione. È un giovane americano di famiglia molto agiata, uno studente più che brillante, un ingegnere informatico di talento. Fuggito da New York subito dopo il delitto del 4 dicembre, il 26enne era riuscito a svicolare tra le maglie degli investigatori per cinque giorni. Ieri sera, però, qualcuno all’interno di un fast food di Altoona, in Pennsylvania, lo ha riconosciuto e ne ha segnalato la presenza alle forze dell’ordine. Fine della fuga, ecco le manette.

Il giorno dopo la cattura si sprecano i commenti e le ricerche: chi è l’assassino di buona famiglia? È vero che è un ammiratore di Unabomber, il matematico luddista e psicopatico che inviò decine di pacchi-bomba letali in giro per l’America tra il 1978 e il 1995? Com’è possibile che uno studente così brillante si sia macchiato di un delitto così grave? È vero che soffriva di terribili mal di schiena per una patologia cronica? 

A tutte queste domande si aggiungono le dichiarazioni e i commenti delle persone coinvolte: la famiglia Mangione – una famiglia davvero in vista e arcinota a Baltimora – si dichiara sconvolta e invita tutti a pregare. Un compagno di studi racconta della sua passione per i giochi. Un altro dei suoi guai fisici. Un altro ancora si dichiara incredulo, visto che a Luigi “non mancava niente”.

A questo ragazzo di belle speranze e grandi qualità non mancava niente, dal punto di vista materiale: sembra un fatto accertato.

Però ha preso una pistola e ha sparato alle spalle di un uomo. Il simbolo, per lui, del sistema sanitario americano che funziona male e produce esclusione, sfruttamento e sofferenza. La vittima di Mangione era al vertice di un colosso finanziario: la UnitedHealthcare, secondo Forbes500, è l’ottava compagnia al mondo per fatturato, la prima tra le aziende di servizi sanitari. I colpi dell’omicida non sono stati esplosi a caso.

Iniquità di sistema

La sanità USA è un sistema quasi esclusivamente privato: i cittadini possono accedere alle cure solo in misura esattamente corrispondente alla loro capacità di spesa in assicurazioni sanitarie. Per questa ragione, infatti, quasi tutti i contratti di lavoro contengono al proprio interno anche specifiche voci relative alla copertura assicurativa. Molto spesso, però, le polizze di questo tipo non coprono la totalità delle prestazioni che possono essere necessarie, costringendo chi si ammala in forma grave o si infortuna seriamente a sostenere spese anche molto rilevanti, tali da ridurre sul lastrico intere famiglie. Per dirla in breve: il sistema sanitario USA non è affatto universalistico (come, per il momento, rimangono ancora quello italiano o britannico), ma – al contrario – è basato sul censo, sui soldi. Detta così, potrebbe anche funzionare. Male e senza giustizia, ma potrebbe.

Il nodo gordiano s’incontra quando – in caso di necessità – gli assicurati esigono che la loro compagnia assicurativa eroghi il denaro necessario alle cure. Qui avviene lo scontro tra chi esige un diritto e chi difende il profitto: le assicurazioni cercano di minimizzare gli esborsi, ritardano i pagamenti, negano alcune prestazioni, anche se dovute… insomma: cercano di risparmiare sulla pelle dei loro clienti. Un argomento che ci riporta all’omicidio di New York, visto che il gigante UnitedHealthcare non fa certo eccezione, anzi: è considerato tra i peggiori dal punto di vista delle erogazioni.

Un messaggio ambiguo?

In questo quadro – fuga finita, sospetto in galera, funerali celebrati – restano aperte molte questioni, alcune paradossali.

Prima fra tutte è lo stupore dei media. La CNN – all-news progressista per antonomasia – definiva ieri “inattesa” la reazione dei social media, che non sono sembrati affatto solidali con la vittima, ma – al contrario – hanno mostrato “simpatia” per l’assassino. Il Wall Street Journal – voce autorevole  dell’establishment finanziario – si è mostrato ugualmente sorpreso. Ecco un titolo dell’8 dicembre: “Manhunt for UnitedHealthcare CEO Killer Meets Unexpected Obstacle: Sympathy for the Gunman”; letteralmente: La caccia all’uomo per l’assassino del CEO di UnitedHealthcare incontra un ostacolo inaspettato: la simpatia per chi ha sparato.

Su entrambi i fronti dei grandi media statunitensi – la CNN e il WSJ – si registra la medesima incapacità di interpretare il messaggio lanciato dal cuore di Manhattan dal giovane Luigi Mangione, armato di pistola e deciso a uccidere. Perché, ci si chiede, il popolo di internet ha reagito schierandosi, in buona parte, con il “cattivo”? In questa incapacità interpretativa, che è anche la nostra, resta aperta la domanda più scabrosa: siamo di fronte a un segnale ambiguo oppure a un avviso chiarissimo?

  • Stefano Lamorgese

    Stefano Lamorgese (Roma, 1966) è un giornalista di formazione umanistica. Alla Rai dal 1990, ha lavorato per TG3, Rai International, Rai2 e Rainews24. Dal 2017 fa parte della redazione di Report/Rai3. Ha insegnato linguaggi multimediali e cultura digitale presso le università di Urbino, Ferrara e Perugia. È Vicepresidente dell'Associazione Amici di Roberto Morrione, che promuove dal 2011 il Premio giornalistico omonimo, dedicato agli Under30. Storico per passione, ha pubblicato con NewtonCompton "I signori di Roma" (2015).

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