Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, non è solo un momento di denuncia, ma anche un’opportunità per riflettere sul legame tra la violenza di genere e le dinamiche di dominio che attraversano la società e il pianeta. La violenza sulle donne e la distruzione ambientale, infatti, condividono radici profonde: un sistema patriarcale che impone il controllo e lo sfruttamento come strumenti di potere. In questa prospettiva, l’ecofemminismo offre una chiave di lettura rivoluzionaria e un ponte tra la lotta per i diritti delle donne e l’impegno per la pace.
L’ecofemminismo, nato con pensatrici come Françoise d’Eaubonne, ci ricorda che la concezione della natura come “materia inerte” da sfruttare ha portato non solo alla crisi ecologica attuale, ma anche a una visione della donna come oggetto di dominio. L’economia di sfruttamento, alimentata da un capitalismo senza limiti, ha storicamente trasformato sia la terra che il corpo femminile in risorse da controllare. Questo processo ha portato alla marginalizzazione delle donne e al degrado ambientale, due fenomeni che non possono essere separati.
La distruzione del pianeta non è solo il risultato di scelte economiche sbagliate, ma è legata a una visione androcentrica che nega l’interdipendenza tra esseri umani, ambiente e altre forme di vita. Come sottolinea Bruna Bianchi, l’ideologia del dominio è alla base non solo dell’oppressione di genere, ma anche dei conflitti armati e delle catastrofi ambientali.
La guerra e il militarismo sono espressioni estreme di questa cultura del dominio. Fin dal dopoguerra, il militarismo ha trasformato il pianeta stesso in una macchina da guerra, causando danni irreparabili alla biosfera e alla biodiversità. La guerra non è una condizione eccezionale, ma uno strumento permanente del capitalismo per superare le sue crisi, come affermava Rosa Luxemburg. La violenza armata è quindi intrecciata con la violenza sistemica contro le donne e contro l’ambiente.
L’ecofemminismo ci insegna che la pace non può essere raggiunta senza affrontare le cause strutturali della violenza. La pace ecofemminista non si limita all’assenza di conflitti armati, ma richiede la costruzione di un sistema che valorizzi la cura, la solidarietà e la cooperazione.
In questa giornata di riflessione, possiamo ispirarci alla visione di pensatrici ecofemministe quali Françoise d’Eaubonne e Rachel Carson, che hanno denunciato gli effetti devastanti del capitalismo predatorio basato sul ciclo continuo di produzione e consumo, e alle loro proposte per un’economia rigenerativa, basata sulla creatività, sulla cooperazione sociale e sul rispetto per tutte le forme di vita.
Il 25 novembre non è pertanto solo una giornata di denuncia: è un richiamo all’azione. La violenza contro le donne e contro il pianeta non è inevitabile, ma il risultato di un sistema che possiamo trasformare. Per costruire un futuro migliore, dobbiamo spezzare il ciclo della violenza, investendo in una società basata sulla cura, sulla rigenerazione e sulla solidarietà. La lotta per i diritti delle donne e quella per la giustizia ambientale non sono separate: entrambe richiedono un profondo cambiamento delle nostre priorità sociali ed economiche.
Ognuno di noi ha un ruolo in questa trasformazione. Agire oggi significa garantire un domani in cui tutte le forme di vita siano libere dalla violenza e dallo sfruttamento. In questa giornata, riaffermiamo il valore di una pace ecofemminista: una pace che rigenera, cura e costruisce un mondo giusto per tutte e per tutti.